Uno spettacolo del 2013 appare attualissimo in queste ultime settimane di guerra. Inserito nel cartellone 2021/2022 del Teatro Stabile di Napoli, lo storico teatro Mercadante, avrebbe colpito l’attenzione degli spettatori in maniera meno incisiva se la situazione bellica fosse stata diversa o assente? Durante la visione di questo spettacolo, in scena dal 29 marzo al 3 aprile, in realtà questo pensiero non affiora, o meglio lo spettatore viene immediatamente sommerso dai mille interrogativi stimolati dalla narrazione, uno in particolare: che senso ha? Una domanda ossessiva, che vorremo porre alla protagonista, al mondo e ai potenti. Nel 2013 l’attenzione militare era rivolta alle missioni in Afghanistan, dunque dobbiamo considerare che l’autore, George Brant, è americano, così come il punto di vista della narrazione. Il pubblico italiano, grazie alla produzione del Teatro Nazionale di Genova, osserva questo spettacolo nella traduzione italiana di Monica Capuani. Un autore maschile, una traduzione femminile, in scena una donna. All’inizio del racconto, infatti, emerge fortemente l’immagine di donna mascolina che vive da uomo, supera gli uomini e dimostra costantemente di essere
migliore di questi. Fino ad un certo punto: le fratture diventano crolli. Se non avessimo avuto questi crolli, prima crepe, poi sbriciolamenti, infine devastazioni psicologiche e sentimentali, non avremmo compreso il senso di questo testo.
La narrazione è sintetica, piccole frasi veloci, lungo monologo intervallato da chiusure di scena dal sapore fortemente cinematografico, necessarie per stimolare l’attenzione dello spettatore che ascolta, senza respiro, le parole della protagonista. La traduzione tiene sicuramente conto di intermezzi, esclamazioni e modi di dire che colorano la lingua americana, spingendo l’attrice ad utilizzare una lingua mascolina, a volte forzatamente tale, intervallata da intercalari volgari che integrano perfettamente il personaggio femminile all’interno dell’ambiente militare americano maschile, in particolare quello dell’aviazione.
La protagonista, dunque, interpretata da una splendida e carismatica Linda Gennari, viene presentata attraverso quella particolare grandiosità americanizzante che “pompa” il personaggio e, sbattendolo sul palco e in faccia agli spettatori, ce lo propone come donna forte e senza paura.
La regia di Davide Livermore, nuovo direttore del Teatro genovese, riporta la tecnologia sul palcoscenico, attraverso le scene curate anche da Lorenzo Russo Rainaldi: una donna che ama volare, che vive per questo, per il “blu”, ripetuto con ossessione, non può che recitare sospesa in aria. Infatti, il regista sceglie di posizionare l’attrice su un’ipotetica e gigantesca ala di aeroplano che si alza e si abbassa continuamente sul piano della scena, come un palcoscenico mobile e in vetro che si inclina in avanti e indietro, costringendo la Gennari ad importanti tensioni muscolari e alla resistenza fisica, che caratterizzano, nel complesso, anche l’evoluzione della storia e della vita della protagonista.
Non a caso, la donna si libra in alto, grazie ad un gioco di tiranti di acciaio, quando la sua vita sembra decollare e soprattutto la sua carriera, mentre “atterra” sul palcoscenico, addirittura viene inghiottita da quest’ala e schiacciata da essa, quando la sua vita va a rotoli.
La donna, Top Gun dell’aviazione americana, trascorre una vita in volo: tre giorni con un uomo conosciuto per caso, una gravidanza, perde il suo posto, ma si ritrova con un marito amorevole, una figlia e una famiglia perfetta. Unico problema: non può volare. Viene relegata nel deserto vicino a Las Vegas per una nuova missione, pilotare aerei super sofisticati a distanza, attraverso monitor, dei droni giganti che prevedono una totale sicurezza per chi li manovra ad ore e a chilometri di distanza, ma colpiscono il bersaglio con precisione. La donna è costretta ad una vita virtuale, guardando per ore schermi in bianco e nero e cominciando a confondere la realtà reale con quella virtuale. Si definisce “grounded” appunto, a terra, atterrata, agganciata e bloccata con i piedi per terra. La speranza che la figlia, altra figura femminile, possa cominciare ad amare il volo e il cielo come lei sembra apparentemente vacillare.
Questa storia conduce lo spettatore verso un obiettivo chiaro: la forza di una donna che però cede alla sua natura materna e femminile. La narrazione, in effetti, sembra per lo più viaggiare su questo binario, ma in realtà il leitmotiv che cattura l’attenzione della platea è solo uno degli aspetti più dolorosi di questa storia. La guerra è la vera protagonista: la guerra a tutti i costi, la nostra guerra interiore, la guerra contro ipotetici assassini e nemici che poi si rivelano uomini come tutti gli altri. Basta un pulsante e le membra di ogni corpo volano dilaniate nel cielo. Basta un pulsante e anche la nostra vita può andare in frantumi.
La guerra e la formazione militare impongono una routine rigida, un lavaggio del cervello ossessivo, così come la vita quotidiana e l’aspirazione ambiziosa ossessiona le donne a superare gli uomini, senza fermarsi, senza cadere. Due facce di una stessa medaglia che osservano acutamente la condizione umana in questa contemporaneità, oggi più che mai devastata da pandemia e guerra. Una riflessione pungente, terribile, dolorosa, fortemente commovente, che viaggia attraverso una narrazione arricchita dalla profonda interpretazione della Gennari. All’interno del testo, però, emergono anche dei momenti ripetitivi e deboli, come se l’autore volesse girare attorno ad alcune situazioni evitando di scioglierle velocemente, rischiando un indebolimento dell’attenzione e della tensione.
La protagonista piange, ride, si dibatte, vola e si scaraventa al suolo, psicologicamente tormentata, ma mai folle. Ci accorgiamo, infatti, che ognuno di noi ha vissuto almeno una parte di quella esperienza, pur non essendo sottoposti realmente al giudizio della Corte Marziale. Il nostro tribunale è la vita, i commenti eccessivi, le considerazioni inopportune. Questo spettacolo rappresenta una profonda denuncia al mondo attraverso una donna che non vuole essere madre, che rifiuta la fragilità attribuita al femminile, ma che ama profondamente la famiglia e la figlia e che, nonostante sia cresciuta con l’obietto del combattimento, comprende l’importanza della vita reale. Pur nascendo da un’evidente ed aspra denuncia al mondo militare americano, questa storia, vista attraverso gli occhi degli spettatori italiani, viene condotta inevitabilmente verso altri punti di vista.
La colonna sonora è straordinaria ed è curata da Andrea Chenna: effetti sonori che irrompono dal fondo della sala e avvolgono l’intera platea, musiche che diventano parte integrante della narrazione, rombi di aerei che attraversano il teatro, fino al gran finale affidato alla voce di Paolo Nutini nella sua “Iron Sky”. Il richiamo al cinema è evidente, nei colpi di scena, nelle chiusure di battute caratterizzate dal buio o da suoni improvvisi, nelle luci, laterali ed esplosive soprattutto nell’ultima scena, curate da Aldo Mantovani.
GROUNDED
Teatro Mercadante Napoli
29 marzo- 3 aprile 2022
di George Brant
traduzione Monica Capuani
regia Davide Livermore
con Linda Gennari
musiche Andrea Chenna
scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi
costumi Mariana Fracasso
disegno luci Aldo Mantovani
assistente alla ragia Sax Nicosia
foto di scena Federico Pitto
produzione Teatro Nazionale di Genova
Foto di Federico Pitto