Ciò che si ritiene, nella condizione umana nel suo complesso, naturale è spesso essenziale e irriducibile ma altrettanto spesso non è facile né da praticare né, tanto meno da raccontare anche solamente a se stessi. Questa drammaturgia di Mariagrazia Pompei, giovane attrice diplomata alla scuola dello Stabile di Genova e qui alla prova della scrittura, è un lodevole tentativo di farlo, a partire dall'ineludibile momento fondativo della vita, quello del concepimento e della nascita. È innanzitutto una drammaturgia nata da un confronto, con se stessa e con tante altre donne direttamente interrogate o che suggeriscono sullo sfondo della storia con icastiche citazioni, un confronto chiamato a districarsi tra i mille luoghi comuni che, come le sbarre di una prigione, hanno preteso e tuttora pretendono di normare (socialmente, politicamente, patriarcalmente anche) un comportamento che invece potrebbe e dovrebbe essere illuminato fino in fondo dalla luce della libertà sia personale che relazionale. Non è facile dicevo ed in effetti non sempre riesce a sfuggire a queste irrigidite suggestioni, quasi valessero in sé senza neanche necessità di essere accettate, suggestioni che influiscono sullo sviluppo narrativo
che trasforma in racconto scenico un percorso molto simile per tutte, ma anche per tutte straordinariamente soggettivo e singolare. Così l'orizzonte quasi artaudiano che il titolo suggerisce, quello del reciproco nutrirsi che in quella relazione si manifesta, rimane alla fine nascosto, sullo sfondo, insieme a quell'instancabile luogo comune per il quale la maternità fa sempre una buona madre, anche quando non succede (e spesso non succede).
Emergono invece reiterazioni che lo spazio creato dalla presenza in scena di un doppio di sé attenua solo in parte, quasi che la riflessione che dagli anni sessanta riguarda il tema della maternità si fosse sviluppata ma insieme fermata, adagiandosi sul già molto detto ma anche, ahimè, sull'assai poco realizzato.
Uno spettacolo gradevole che comunque stimola una riflessione, o meglio il riavvio di una riflessione che deve tornare condivisa (e il teatro può farlo) senza perdersi nelle nebbie di una stagione culturale, anche nel femminismo, che tende a dimenticare se non addirittura a omettere i temi irrisolti che la maternità anzi le maternità continuano a mettere sul tavolo della società, della storia e anche della economia(politica per quanto mi riguarda).
La regia della stessa drammaturga è accurata e la recitazione, entro una scenografia semplice ma ricca di profondità e sdoppiamenti, apprezzabile.
Alla sala Trionfo del Teatro della Tosse di Genova, in prima nazionale dal 6 all'8 maggio. Poi a Roma al Teatro Tor Bella Monaca dal 13 al 15.
I Nove mesi della vita di madri e figli, testo e regia Mariagrazia Pompei, con Valentina Favella, Francesca Diprima, Riccardo Pieretti, lighting design Giacomo Carusi, live video e video mapping Pietro Cardarelli, musica & sound design Giorgio Bertinelli, fonica Pier Francesco Pelle, realizzazione scene Larbi Sakouhi, costumi Francesca Romana Parisini, assistente alla regia Giulia Cerrone. Produzione Magma e Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse