Cosa c'è di più umano dell'andare oltre l'umano? È domanda complessa ma in fondo anche retorica nel senso che concepisce, costruisce e genera nel suo stesso formarsi la risposta che (non) ci aspettiamo.
Niente infatti è più umano del suo 'trasumanar”, neologismo dantesco di straordinaria spinta propulsiva, del suo andare oltre per ritrovarsi, del suo trasfigurarsi per scoprire e condividere la carne e la luce, in fondo avendo consapevolezza che tra la luce che lo attende e l'oscurità della sua carne da cui si muove pellegrino, corre un vincolo di profonda e inestricabile contiguità, oltre ogni semplice risonanza. Un mistero già niccianamente interrogato nell'inattualità dell'Umano – troppo Umano, un mistero che ci fonda e che, pur restando mistero, ci dona più consapevolezza di qualsiasi razionale composizione delle nostre contraddizioni, passate, presenti e future. A questo, infine, Marco Martinelli e Ermanna Montanari ci hanno condotto e accompagnato, facendosi da noi accompagnare. Con loro il Dante oggetto, di lettura critica o
esegesi storico-filologica peraltro ineccepibile come di consueto, si fa Dante soggetto di un predicato itinerante e noi suoi, ciascuno di noi, complemento oggetto che si definiscono nella inestricabile e reciproca relazione verbale e mentale.
Martinelli e Montanari, trascinandoci con loro da “esta selva selvaggia e aspra e forte”, hanno intuito questo ineludibile, irriducibile e paradossale contrasto/attrazione tra vero e immaginato, tra corpo e anima, tra reale e spirituale, e hanno cercato di costruire con e nel trittico dantesco il loro fondersi, ed estetico amalgamarsi, che è tanto più vero e sincero, quanto più è miscellanea di tutti quegli elementi.
La vita e la morte, la dissoluzione e la resurrezione, tra Dioniso e Cristo, festa e danza, suono che recupera l'allegria dei nostri naufragi e in fondo la loro inevitabile felicità, a cavallo dell'ineffabile che viene paradossalmente detto con parole nuove.
Così infatti apre il foglio di sala:
<<È reale l'Inferno, la cui atroce operosità continuerà anche dopo il Giorno del Giudizio. Anche la montagna del Purgatorio è tangibile, ma svanirà alla fine del tempo, quando anche l'ultima anima sarà librata in volo verso il cielo. E il Paradiso? Un copione celeste, un mirabile spettacolo allestito per lo spettatore Dante. Teatro, insomma>>.
Un percorso teatrale dunque, ma raramente un tale percorso di trasfigurazione estetica e spirituale ha saputo mantenere, come la Commedia cui si ispira, un ancoraggio così forte, comunitario anche e profondamente politico, con la realtà che li circonda e dalla quale e con la quale sono stati, anche nel conflitto, ideati e realizzati.
Una vera e propria rinnovata “chiamata pubblica”, cominciata nel 2017 con INFERNO e proseguita nel 2019 con PURGATORIO, che in questo 2022 ha visto coinvolti e partecipi seicento cittadini di Ravenna, una civitas terrena dentro la città e in sua rappresentanza.
Oggi si conclude mostrando come, in tutte le sue tappe, l'agire dentro di essa della creatività poetica e drammaturgica di Ermanna e Marco abbia saputo coinvolgere la spontaneità di una comunità capace di farsi, con e attraverso i due artisti/guida, consapevole, di trasformarsi in polis, di fare nello spettacolo politica vera, in tutte le sue mille e anche spigolose angolature, dalla socialità e accoglienza alla economia come gestione della casa comune.
Un modo di essere teatro e compagnia che ha fatto scuola, trovando sempre più condivisioni in ogni parte d'Italia.
Dunque anche in questa terza stazione dantesca, l'ultima (forse?), l'universo lirico della cantica finale della commedia si è come coagulato, grazie alla raffinata chimica spirituale dei due drammaturghi, intorno ad alcuni episodi significativi e personaggi chiave, ciascuno portatore di una tessera di quel complesso mosaico di ascensione racchiuso nello scrigno dell'ultimo canto, a scoprire, anzi a ritrovare perchè mai ci aveva abbandonato, “l'amor che muove il sole e l'altre stelle”.
Un messaggio propagato, nella voce inconfondibile e iridescente della brava Ermanna, al pubblico che, come sempre, è attivo e attore esso stesso, con le sue domande ma soprattutto il suo 'sentimento', di un'evento che così (non) si conclude, poiché non può concludersi se non nell'apparenza e contingenza del teatro..
Da Piccarda Donati, a Giustiniano in cui rieccheggiano le parole di Papa Francesco per una comunità aperta e solidale che valorizzi il lavoro e dunque il valore di ogni uomo, anche se migrante, da Cunizza da Romano il cui molto e sincero amare le ha acquisito molto e molti perdoni come una moderna Maddalena, a San Tommaso, da San Pier Damiani a San Pietro.
E poi ultimo l'antenato Cacciaguida, un intenso Gigio Dadina, che predice a Dante le sue tante amarezze che troveranno infine qui il loro balsamo.
Un paradiso, molto terrestre nel suo essere raffigurazione celeste, in cui non hanno spazio e residenza guerre e violenza, pestilenze e diseguaglianza. I soldati che improvvisamente irrompono nei giardini, fermati con parole decise, sono infine significativamente cacciati dai bambini e dalla loro 'allegrezza'.
Un transito anche fisico, come i precedenti, che parte anch'esso dalla tomba del Poeta, ove ci accolgono le due consuete e attese guide.
Poi ci si avvia attraverso le vie di Ravenna fino alla bellissima Loggetta Lombardesca, sovrastati e accolti tra gli archi dorati (di materiale riciclato) da statue barocche alla maniera del Bernini, travestite da personaggi a loro volta travestiti da attori, e tutto questo non è un paradosso.
Nel giardino i bambini vestiti di bianco compongono sulla piazza con le loro biciclette cerchi ripetuti, a metafora forse del perenne volgere delle sfere celesti, che ci circonda, ci limita, ci contiene ma insieme ci libera, con l'armonia di un eterno ritorno.
Bello lo spazio scenico e bellissimi i travestimenti e i costumi creati e realizzati, l'uno e gli altri, dagli allievi e dalle allieve dell'Accademia di Brera di Milano, coordinati per le scenografie da Edoardo Sanchi con Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi e Matilde Grossi, e per i costumi da Paola Giorgi con Federica Famà e Flavia Ruggeri.
Uno spostarsi nello spazio costruito e concepito da Marco Martinelli e Ermanna Montanari appunto come una sorta di architettura transeunte, che suggerisce, ed esplicita nei suoi riferimenti, i continui e quasi indotti slanci verso il cielo del barocco del Borromini. Uno spazio cui le musiche di Ceccarelli forniscono ritmiche inconsuete, quasi onde fisiche.
Oggi, pertanto, il teatro è stato ancora una volta esperienza di vita soggettiva e di proiezione comunitaria, come nella natura di Marco e di Ermanna, e di tutte le Albe.
Nell'ambito di “Ravenna Festival” che accoglie “Paradiso” sotto il suo titolo, significativo nella dedica Pasoliniana, di “Tra la carne e il cielo”, in una coincidenza quasi illuminante. A Ravenna dal 24 giugno all'8 luglio. Visto il 5 luglio.
PARADISO Chiamata Pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Commissione Ravenna Festival. Ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari, musiche Luigi Ceccarelli. In scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Luigi Dadina, Alessandro Argnani, Camilla Berardi, Roberto Magnani, Laura Redaelli, Alessandro Renda, Salvatore Tringali e le cittadine e i cittadini della Chiamata Pubblica. Collaborazione alle musiche Vincenzo Core; chitarra elettrica Raffaele Marsicano; trombone Giacomo Piermatti; contrabbasso Gianni Trovalusci; flauti Andrea Veneri; live electronics e con Mirella Mastronardi voce. Spazio scenico allieve e allievi dell'Accademia di Belle Arti di Brera Milano-Scuola di Scenografia: Eleonora Battisi, Hefrem Gioia, Umberto Kilian D’Annolfo, Martina Maria Pisoni, Giada Ratti, Valentina Silva, Alessia Soressi coordinati da Edoardo Sanchi con Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi e Matilde Grossi. Costumi allieve dell'Accademia di Belle Arti di Brera Milano-Scuola di Costume Beatrice Alberti, Valeria Benatti, Caterina Lanza, Alessia Lattanzio, Lidia Zanelli, Bingqian Zhu coordinate da Paola Giorgi con Federica Famà e Flavia Ruggeri. Disegno luci Fabio Sajiz, direzione tecnica Luca Pagliano con Alessandro “Pippo” Bonoli e Fagio. Produzione Ravenna Festival/Teatro Alighieri in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro con il contributo straordinario del Comune di Ravenna..