Ritorna a Genova, per la venticinquesima edizione, il “Festival in una notte d'estate”, meritevolmente promosso e organizzato da “Lunaria Teatro” e diretto da Daniela Ardini e Giorgio Panni, a offrire finalmente, tra vicoli e piazze del centro storico della città, qualcosa di più e meglio della consueta 'movida alcolica' che in prevalenza, purtroppo, lo occupa. Sotto il segno, che ormai transita la firma per diventare un vero e proprio sigillo, quasi ad esergo condiviso, della luna dunque, divinità femminile per eccellenza e profonda sintonia, tra Selene e Artemide/Diana, tra cicli generatori e pallide cacciatrici in fuga, a proteggere la creatività del femminile dalla continua distorsione del tempo, talora crudele, della Storia. Un segno/esergo non esplicito o pomposamente dichiarato, ma a mio avviso leggibile in numerose occasioni degli anni passati e anche nel ricco cartellone di quest'anno. Dunque, come il Festival titola i suoi Percorsi, “l'architettura della parola tra città e natura”, ricordando, cosa purtroppo rara, che la parola teatrale può essere l'architrave che costruisce intorno a sé percorsi di condivisione comunitaria, estetica ma anche concreta nel suo girovagare tra le pietre (anche le parole spesso
come le pietre pesano). Girovagare per trovare una meta che ancora non conosciamo ma già desideriamo.
Dal 2 luglio fino al 16 settembre, con moduli e luoghi diversi, il festival ci offre spettacoli di musica, danza, teatro di figura e ovviamente di prosa.
Tra questi l'interessante re-interpretazione per il teatro del buzzatiano “Deserto dei Tartari”, nel quale il bravo drammaturgo e regista Lelio Lecis distilla in monologo scenico la sensibilità profonda ed essenziale di quella famosa narrazione, che decanta, così, dalla prospettiva prismatica e composita del romanzo, in un transito fortemente simbolico che, di questo, privilegia la profondità alla stessa ineludibile figuratività.
La solitudine che accompagna ogni esistenza, nell'attesa di un senso che si identifica spesso con la morte, capace come è la morte di ricostruire a posteriori la vita, in una sorta di flash back cinematografico in cui i tasselli del mosaico della nostra esistenza trovano improvvisamente la loro coerente composizione.
La scrittura di Buzzati, così concreta e solida nonostante, anzi forse grazie, ad una immaginazione fantastica che non ha mai smesso di cercare le proprie rotte e i propri approdi, si alimenta di suoni (quali infinite stratificazioni si sovrappongono ad esempio nel nome del protagonista: il tenente Drogo) e la scena può così accoglierli con il giusto profitto e il diverso orizzonte che il teatro promette.
D'altra parte, pur essendo poco noto, Dino Buzzati, famoso soprattutto come romanziere e narratore 'fantastico', è stato anche drammaturgo e scenografo, dunque tutt'altro che distante dai ritmi della messa in scena.
Ciò che accade è noto a gran parte di noi e non vi è dunque necessità di soffermarsi più del dovuto, mentre transitano attraverso il protagonista che si fa narratore, le figure composite, diverse ma sorelle l'una all'altra, che, come detto, compongono il prisma che ci proietta nel mondo e nella nostra esistenza.
È molto bravo Simone Latini nel farsi carico di tutte quelle figure, che quasi proietta sul palcoscenico attraverso il proprio corpo attoriale, senza perdere quella unità e coesione espressiva che valorizza vieppiù il testo stesso.
Una scenografia di oggetti, quasi un teatro di figura, sufficiente e necessaria all'economia di uno spettacolo di notevole qualità.
Di Dino Buzzati, drammaturgia e regia Lelio Lecis, con Simeone Latini. Assistenti alla regia Stefano Cancellu Tiziana Martucci. Scenografia Valentina Enna. Costumi Marco Nateri. Assistente costumi e spazio scenico Noemi Tronza. Direzione tecnica Lele Dentoni. Assistente tecnico Nicola Pisano. Fotografia Stefano Cancellu. Produzione Akroàma Teatro Cagliari.
In piazzetta San Matteo, il 15 luglio.