Potrebbe e parrebbe essere un trafiletto tra i tanti di una qualunque cronaca locale, tra annunci economici e proposte commerciali. Ma non lo è perchè quando chiude un teatro è come aprire un vuoto in un flusso di energia, è come l'interruzione di corrente in un circuito che produce vita, è un buco nero in cui precipitano gli anni di quella esperienza singolare e di quelle esperienze irripetibili che sono il teatro, occasionale e contingente nel suo accadere ma capace di dare riflessi e creare suggestioni che sembrano non finire mai, come le onde di uno stagno. A fine anno infatti il Teatro “I” di Milano chiuderà definitivamente dopo diciotto anni di vita. Un altro luogo teatrale, fisico e creativo, che cessa di alimentare la nostra vita culturale, come il sasso che caduto sul fondo dello stagno non da più energia alle onde che ci raggiungono. Perché? Ce lo dicono in un breve comunicato i suoi fondatori Renzo Martinelli, Federica Fracassi e Francesca Garolla nel breve comunicato stampa con cui
annunciano la dolorosa decisione di chiudere. Quegli spazi, in cui pure sono transitati alcuni dei nomi più importanti del teatro italiano e internazionale, con scelte che spesso anticipavano e così stimolavano la crescita di quei creatori di teatro, sono diventati insufficienti ed inefficienti rispetto ad un contesto che è nel frattempo cambiato, per la crescita della concorrenza reciproca e per la lotta sempre più difficile e contesa ai fondi pubblici (con norme astruse e burocrazie incomprensibili).
In particolare se quegli spazi sono stati sufficienti per salvaguardare un centro di produzione, sono divenuti inadatti per le Ospitalità e soprattutto per quella programmazione “serrata, diversificata e aperta al pubblico” che il contesto e le nuove norme impongono.
Un teatro per essere veramente tale deve vivere pienamente non sopravvivere, ci dicono ancora, e allora è meglio chiudere piuttosto che deludere sé stessi e gli altri.
Una decisione dunque che in fondo è anche una denunzia, onesta e sottovoce ma chiara, delle distorsioni che attraversano, nell'aspetto produttivo ed economico, il teatro italiano e dell'impatto che tali distorsioni producono anche sulla qualità estetica degli spettacoli e sulla creatività degli autori.
Il commiato si chiude con i ringraziamenti agli innumerevoli soggetti che con il teatro hanno interagito e con un significativa citazione:
Leggere tutte le carte perché ogni scrittura è pur sempre un messaggio grazie al quale uomini parlano ad altri uomini.
E per quanto insensate siano le parole che sono state scritte,
in esse qua e là qualcosa tradisce
ciò che noi stessi siamo,
o che avremmo potuto o dovuto essere.
Antonio Tarantino, “Esequie solenni”