Oltre una ennesima esperienza di meta-teatro, questa dello statunitense, ora a Brooklyn, Will Eno sembra più una sorta di drammaturgia 'schermo' che, a partire dal titolo (Pain=Dolore) gioca con sé stessa, e che nel mettere in scena un molto tradizionale monologo in apparenza autobiografico, in parte figlio o nipote trasfigurato della drammaturgia degli Arrabbiati, più Broadway che Off-site, intorno alla vacuità e insincerità di maschere e comportamenti sociali in una qualunque metropoli dei nostri lidi, ne prende contemporaneamente le distanze mostrandocene un po' alla volta la pari inconsistenza.
Quasi ci indicasse, in fondo, che sotto la ripetitività di certe rappresentazioni, che il teatro quasi invoca, ci sia un distogliere lo sguardo dalla vita che scorre oltre le assi del palcoscenico e oltre la quarta parete, una vita che temiamo ormai insensibile, forse, a quanto accade tra quelle quattro, fragilissime, mura estetiche. Un distogliere lo sguardo, aggiungerei, innanzitutto dalla “sua” e dunque dalla
“nostra” vita. Non a caso l'icastico sotto-titolo (“basato sul niente”) sembra suggerire e segnalarci una sorta di fastidio dello stesso drammaturgo verso quello che ha scritto e che sta ora, per il tramite di qualcuno presente quasi per caso davanti a noi, mettendo in scena.
Un fastidio che dalla vita, che ormai sembriamo incapaci di cogliere e intercettare nella rappresentazione, soprattutto perché sembriamo aver scoperto che quella vita che pensiamo di penetrare è essa stessa vacua e fragilmente mobile, anzi è direttamente altrove, contagia e decompone anche la stessa scrittura. Infatti come si può essere sinceri su qualcosa (la vita) che è essa stessa “non sincera”, e a cui dunque non crediamo più?
È un po', esteticamente e drammaturgicamente parlando, quello stesso strano rapporto che c'è nella nostra modernità tra la tradizionale fisica newtoniana e la dirompente fisica quantistica. Da una parte un mondo che in qualche modo, o anche man mano, può essere padroneggiato ed elaborato, dall'altra un mondo di relazioni comunque cangianti in cui anche lo sguardo dell'osservatore è parte in causa, potendo modificare costantemente ciò che è osservato.
Uno strano teatro dunque, in cui il mostrare (rappresentare) è esso stesso, tra lotterie inconsistenti e programmatiche fughe in platea, un divenire, fluido e inaspettato, il cui solo argine, nelle speranze dello stesso drammuturgo, potremmo o dovremmo essere noi.
Si susseguono così nel divenire scenico affondi verso l'esterno immediatamente abortiti, quasi fughe subito rinnegate da un sé poco riconoscibile.
Trova in questo una profonda motivazione il sottile fastidio, simile al risuonare vuoto di una moneta di falsa lega, che anche noi proviamo nel non trovare una direzione al procedere (?) in scena del dramma (ormai qui le categorie szondiane sono definitamente perdute), un dramma sempre sul punto di sfuggire alla sua prigione narrativa e anche psicologico/significativa senza mai riuscirvi. Un dramma in cui tutto precipita e trova posto, tranne che un ultimo barlume di speranza.
Un testo interessante, vorrebbe mostrarsi come un flusso di coscienza ma non ha niente di surrealistico e casuale, anzi è rigidamente programmato e strutturato per li suo obiettivo, che è non avere un obiettivo.
Ma anche un testo difficile che, all'interno di una regia attenta che fa della non interferenza la sua cifra, impegna fino in fondo il bravo Alberto Giusta chiamato a mutamenti di registro improvvisi, tra ironia, comedy e digressioni intimistiche e un po' oniriche, verso i quali, nelle repliche, potrà raggiungere una sempre maggiore confidenza.
Thom Pain (based on nothing) è stato finalista nel 2005 per il Pulitzer del Teatro. Nel 2012 ha vinto il premio PEN/Laura Pels International Foundation for Theater.
Al teatro Eleonora Duse di Genova, per il Teatro Nazionale, dal 25 Ottobre al 6 novembre. Alla prima avrebbe meritato un pubblico più numeroso, pubblico comunque che ha molto apprezzato, partecipato e applaudito.
THOM PAIN – basato sul niente. Produzione Teatro Nazionale di Genova, Centro Teatrale MaMiMò. Traduzione Noemi Abe. Regia Antonio Zavatteri. Interprete Alberto Giusta. Luci Fausto Perri.