Rivivere il testo, e dargli vita, attraverso il corpo dell'attore è un meccanismo disvelante che riesce talora a riprodurre quel processo esistenziale e sociale mediante il quale le maschere e gli schemi comportamentali predisposti dalla società vengono assunti dai singoli individui e, ove possibile ovvero consentito, da quegli stessi individui elaborati e a volte modificati. Questo spettacolo è anche rivivere in sala quell'esperienza, illuminata però da una luce estetica che ci consente una consapevolezza inusuale di quello che succede a noi e soprattutto di quello che sta succedendo intorno a noi. Il bel testo di Melania Mazzucco, nato come radiodramma e allora vincitore del 53° Prix Italia, ha ormai più di vent'anni ma, come si usa dire, non li dimostra, riuscendo ancora a penetrare una condizione umana che, nelle sue singolari declinazioni, è quanto mai segno della nostra attualità. Ne è, per così dire, testimone e messaggero, nel doppio ma coerentemente sovrapposto ruolo di attore e regista, un Valerio Binasco che riesce ad esprimere, nella mimica forte e a volte, sotto la finzione di una inconclusa affettività, feroce e nella prossemica che svela, anche nei gesti e negli atti di presunto amore, una
aggressività violenta e in fondo senza un vero obiettivo. Così in questo “Dulan la sposa” i temi sociali e i conseguenti schemi mentali etero predisposti ed etero diretti certamente precipitano, e quasi si accavallano in un affresco drammaturgico che travolge i confini di una ordinaria intimità cui il matrimonio socialmente deve dare norma, e si allarga ad un orizzonte storico e sociale (l'immigrazione e il preconcetto di ogni superiorità razziale od economica che ci accompagna e che ne trasfigura la percezione) intercettando il disagio che ci è sodale e complice nell'oggi.
Una sorta di noir (la morte di una giovane immigrata senza nome nella piscina del condominio in cui si è insediata una coppia di sposi) che è però un inganno in quanto ciò che emerge non sono i movimenti e le evoluzioni di quella storia tragica, bensì sono gli atteggiamenti e le reazioni della coppia rispetto a quell'evento, al loro coinvolgimento, non solo specificatamente esistenziale ma soprattutto come espressione di una più complessiva considerazione, o anche singolare posizionamento, sociale.
L'angoscia è il filo comune a tutte e tre le storie, un'angoscia che sembra alimentarsi da una parte nell'incapacità di elaborare e modificare gli schemi sociali e dall'altra da un irraggiungibile desiderio di oblio che cancelli quello che è tragicamente successo, o che forse è stato soltanto un sogno.
Ci sono stati momenti della nostra storia più recente in cui si manifestò la volontà di infrangere quanti più schemi e tabù e di trasformare ciò che la società ci imponeva in un trampolino per una possibile liberazione. Un tentativo contrastato e contraddittorio certamente, ma di cui parrebbe non essere rimasto un solco veramente profondo nelle nuove generazioni.
Un testo dunque in cui convive uno sguardo più ampio, storico e sociale a partire dalla tragedia dell'immigrazione e dei clandestini e dalla piaga del razzismo, delle diseguaglianze non solo economiche e della sopraffazione, ed uno sguardo su una intimità che cerca di liberarsi con scarso esito dalla prigionia dei tempi.
Il Mondo e la Società, in fondo, visti dal dentro della nostra mente, soggettiva caverna platonica di cui sembriamo schiavi.
Della qualità della recitazione di Valerio Binasco, dai toni naturali e spontanei ma sempre finalizzata a significare, abbiamo detto, non da meno è la qualità della sua regia che analogamente valorizza la performance di grande efficacia delle sue due partner.
Una scenografia naturalisticamente simbolica (è solo una apparente contraddizione) valorizza il transito scenico che, efficacemente, si conclude con una serie di immagini fisse che, attraverso le relazioni geometriche tra i singoli attori ci accompagnano metaforicamente fuori dalla scena così da non farcela dimenticare.
Questa, per concludere, è una azione narrativa e scenica che dovrebbe poter sfuggire alla dittatura del consumo culturale, che brucia nel breve tempo della messa in scena, e che dunque dovrebbe continuare a manifestare le sue suggestioni e i suoi effetti, come una “fiaccola sotto il moggio”, per tentare di modificare e magari migliorare i modi del nostro esserci nel mondo.
Al teatro Gustavo Modena di Sampierdarena dal 9 a 13 novembre. Molti e meritati gli applausi.
DULAN LA SPOSA. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. Regia Valerio Binasco. Interpreti Valerio Binasco, Mariangela Granelli, Cristina Parku. Scene Maria Spazzi. Costumi Katarina Vukcevic. Luci Alessandro Verazzi. Suono Filippo Conti. Assistente regia Carla Carucci. Assistente scene Chiara Modolo.