Il rapporto tra teatro di figura, danza e teatro performativo è assai osmotico ed il confine tra i linguaggi, dunque, assai poroso. Il festival infatti ci guida ad attraversare questo confine, in entrambe le direzioni, dando la giusta ospitalità ad espressioni estetiche suggestive e suggestionanti, ma spesso escluse dai canali più tradizionali o istituzionali. È il caso, nel nostro andare e tornare tra i tanti eventi, del seguente spettacolo che ha costituito, per originalità, il clou della giornata di martedì 8 novembre.
IL PRESENTE / Masque Teatro.
È anche quest'ultimo spettacolo un esempio di drammaturgia corporea che si costruisce man mano in scena, con l'apparente spontaneità, che è al contrario studio assai profondo del sé e di sé, di chi si affida all'armonia del movimento, alla poesia dell'agire con lentezza, all'attenzione verso le più sfuggenti sfumature di quel limite insuperabile che è il corpo. Un limite insuperabile per sua intima natura ma
anche capace di dare forma agli impulsi profondi della mente, che ne deformano i tratti e, illuminandoli con il sentimento, ne trasfigurano i significati. Un teatro che potremmo definire, pescando nella fantascienza più avveduta e psicologicamente sensibile, “bio-meccanico”, in quanto è evidente nel suo transito in scena il sovrapporsi ed il reciproco determinarsi di macchina e corpo, quasi che la prima fosse l'espressione manuale di una mente interiore che non ha altro modo di esprimersi e di manipolare una fisicità cui ambisce ma che non gli appartiene. Il contatto tra questi due poli (un positivo e un negativo come nella ingegneria elettromeccanica) sprigiona una energia inaspettata cui inconsapevolmente ci colleghiamo. Bravissima la performer che sa dare una singolare umanità e libertà ai suoi gesti, solo in apparenza dipendenti del meccanismo cui è collegata, ma in realtà veicolo di una consapevolezza sempre più condivisa. Gesti mai superflui, di cui la necessità è sinonimo estetico della stessa esistenza che trova con sforzo la sua rappresentazione. Il meccanismo, che appariva dominante, ne è alla fine dominato e attinge così, anch'esso, ad una paradossale (meccanica) umanità. In tutto questo il tempo è come liberato dalla sua necessità di fluire e circuita su sé stesso sottraendoci, esteticamente, sulla scena alla sua (chissà) invincibile e perenne schiavitù.
Nei nuovi spazi di Teatro Akropolis in cui trova una coerente e quasi perfetta collocazione. Molto apprezzato.
Con: Eleonora Sedioli. Elettronica: Matteo Gatti. Tecnica: Angelo Generali. Comunicazione: Clio Casadei. Ideazione e macchine: Lorenzo Bazzocchi. Produzione: Masque teatro.
Questa tredicesima edizione si è dunque chiusa domenica 13 novembre, con successo. Ho cercato di fornire su di essa uno sguardo che cercasse di esprimerne al meglio la natura. Per chiudere vorrei solo citare i due film di David Beronio e Clemente Tafuri presentati nel corso dell'evento e racchiusi nello scrigno di “La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro” che costituisce un nuovo campo della ricerca dei due direttori artistici di Akropolis.
Il primo è “Gianni Staropoli” ed è dedicato all'omonimo light designer e, quindi, ha come suo protagonista la luce. Il secondo, già presentato quest'anno in una sezione della Mostra di arte cinematografica di Venezia, è “Carlo Sini”, il filosofo che è uno dei riferimenti di Teatro Akropolis, e ne tratteggia con efficacia e affetto il pensiero, un pensiero visto quasi in controluce, sullo sfondo della sua stessa vita.
Entrambi esprimono una qualità già rimarchevole nella raffinata fattura. Appuntamento all'anno prossimo.
Foto Enrico Low