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Assistere all’ultima replica napoletana di questo spettacolo, cercando di esserci a tutti i costi, significa ritrovarsi seduti all’interno di un teatro gremito, il San Ferdinando di Napoli, vivendo un’esperienza che coinvolge un pubblico caratterizzato da numerosi artisti, ma soprattutto da spettatori che conoscono bene Moscato. Dopo un periodo di trasformazioni, rallentamenti, scritture intrise di toni oscuri, riflessioni sulla vita e sulla morte, Moscato ritorna in scena con un testo dal nuovo titolo, dalla natura rinnovata, ma palese recupero e trasformazione del testo del 1995, RECIDIVA. Per osservare gli spettacoli di Moscato è necessario essere preparati, affinché, durante la visione, possano improvvisamente attivarsi interpretazioni e codici di lettura che devono essere necessariamente approfonditi anche dopo la visione. In LIBIDINE VIOLENTA, questo il titolo dello spettacolo in scena dal 15 al 20 novembre nello storico teatro eduardiano – coincidenza che ci entusiasma molto! – emergono elementi

noti della poetica del drammaturgo, sebbene si evinca quella visione rivolta al futuro, quasi lascito testamentario, che non ci sorprende rilevare in uno spettacolo del 2022, ma che risulta notevole se si considera il rapporto con il testo originario. Dunque, è importante, forse necessario, analizzare lo spettacolo contemporaneo senza tralasciare quanto emerge in quello precedente, poiché alcuni personaggi sono spariti, altri sono stati modificati, altri vengono solo citati. Il confronto tra i due testi e spettacoli è un’ulteriore e interessante chiave di lettura.
La scena presenta dei riferimenti simili a quelli del passato, con un doppio piano, in parte sopraelevato, su cui siede l’Autore, ossia Moscato, che osserva dall’alto ciò che avviene sul palcoscenico. Lo scranno-trono, affiancato da una macchina da scrivere e da un telefono, oggetti di scena memori della drammaturgia datata anni Ottanta e Novanta e che sicuramente riportano alla nostra memoria alcuni spettacoli firmati da Annibale Ruccello, ospita Enzo Moscato che osserva con occhi vivi parole e musica che si intrecciano sul palcoscenico. Il drammaturgo, nei panni anche di attore, assapora pirandellianamente lo sviluppo scenico delle azioni dei suoi personaggi. Essi rappresentano le sue memorie, o meglio, assumono il ruolo di portavoce delle sue memorie, quelle che l’autore si accinge a scrivere, interpretando un’ipotetica artista-cantante in ritiro dalle scene.
L’aura pirandelliana, che vede autore-personaggi-pensieri mescolarsi sul palcoscenico, è resa, sulla scena firmata da Luigi Ferrigno, attraverso una scelta specifica di Enrico de Capoa che illumina i due piani in maniera distinta: in una ipotetica distinzione tra realtà e finzione, tra voce e scrittura e profondità dell’animo dell’autore, il cono di luce chiara illumina lo scranno su cui è seduto Moscato, lo ispira e ne stimola il ricordo, mentre i personaggi/memorie, travestiti e grotteschi, affiorano dall’interno di una vasca mobile che emerge dalle profondità rossastre del palcoscenico, luogo dantesco di ripensamenti, del rimuginare e  del ricordare, di follie e di passioni che si insidiano nell’animo dell’autore.
C’è un morto sulla scena, un fantoccio, che “vive” e persiste in proscenio a lungo: l’ispirazione dell’autore è stata uccisa dalle sue stesse memorie, dall’impossibilità della parola di essere scritta o esternata, dal mondo che cambia e infilza i fogli negli spuntoni sparsi per tutta la scena.
«Pulsioni autofagocitanti della scrittura» afferma lo stesso Moscato, «passaggio dalla scrittura all’oralità e consacrazione di questa oralità in reingoiamento, risucchiamento autocannibali (e, per se stessi comici) di ciò che, da inchiostro e carta d’occasione, ha avuto l’ardimento di mutare in voce, carne, gesto, al vivo, gran maestro, allora, e gran cerimoniere di questo singolare rito, di questo doppio percorso dello “scriversi” a teatro per “rimangiarsi” tutto in un boccone, dinanzi allo spettatore esilarato, più di tutti gli altri fu Copi», sottolinea il drammaturgo nell’introduzione, definita “Avvertenza”, inserita ad apertura del copione di RECIDIVA (edito da Ubulibri).
Il riferimento a Copi ci interessa molto, ci stimola a recuperare i testi del drammaturgo argentino che Moscato propone, ripropone e fa conoscere, trasversalmente, ai giovani spettatori e studiosi, ma anche al pubblico meno preparato. Lo cita anche all’interno delle pagine, dal titolo “Les Ètoiles Psychotiques. (Per uno s-congelo/s-congedo di/da Raùl Damonte Botana, in arte Copi”, pubblicate nell’importante volume “Il teatro inopportuno di Copi”, a cura di Stefano Casi, edito da Titivillus nel 2008; all’interno di questo contributo Moscato spiega il concetto di “recidività” della scrittura dell’autore di teatro, questo suo accanirsi alla scrittura che necessariamente deve essere trasposta, trasmessa, resa orale. Si tratta forse di narcisismo, di esibizionismo, ma Moscato è consapevole che l’autore stesso si faccia fagocitare dalla sua stessa colpa e dalla voglia recidiva di scrivere.
Se RECIDIVA, nel 1995, poteva descrivere la voglia e follia di ogni autore di farsi distruggere dalla propria stessa smania di scrivere le proprie memorie o di costruirle per scriverne, oggi in LIBIDINE VIOLENTA si sottolinea ancora, attraverso la suggestione del titolo, l’impossibilità di farlo: questo sembra essere il passaggio voluto e necessario nella messa in scena di un testo rimodulato e adattato ad una nuova condizione dello stesso autore.
La sfacciataggine di Copi, suo ispiratore, di cui Moscato sottolinea «[…] le sue più urticanti vette di scrittura (“Le frigo”, “Il ballo delle checche”, “Loretta Strong” – quest’ultimo testo portato in scena a Napoli, nel 2015, presso Galleria Toledo, dalla compagnia  Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa), sembra emergere costantemente nella stesura di RECIDIVA e permane, incombente in LIBIDINE VIOLENTA. Il fantoccio morto è sicuramente un autore, forse lo stesso Copi, ma Moscato si accovaccia all’interno della vasca, memore della fine di Marat, colui che fu accusato di non rispettare gli ideali della Rivoluzione Francese.
All’interno di RECIDIVA interviene un personaggio che è assente, sebbene citato, in LIBIDINE VIOLENTA: Editore Riunito.  Nel testo del 1995 si fa riferimento certamente alla Casa Editrice fondata nel 1953 e legata al Partito Comunista Italiano e diventa un personaggio zoppicante che appare solo per un momento, finito in malora e ridotto a vendere musicassette. In LIBIDINE VIOLENTA si parla di Editori Riuniti, gruppo editoriale che in effetti è rinato nel 2013, ma il personaggio sparisce totalmente all’interno del racconto scenico. L’Editoria sembra affiorare come nemica dell’autore che, nelle sue memorie, ne ricorda la sua presenza, la sua imprescindibile funzione e il suo lavoro, ma Moscato sembra aver deciso di relegarla ad un lontano ricordo, sottolineando la grave crisi editoriale che oggi caratterizza le pubblicazioni teatrali.
Il ritmo dell’intero spettacolo è scandito da intervalli musicali che sottolineano la lenta riflessione dello stesso drammaturgo in scena, per poi accelerare bruscamente attraverso la presenza dei giovani attori nel ruolo di memorie figurate, di bamboline confusionarie, di voci petulanti e di flashback grotteschi a metà tra realtà e irrealtà, personaggi che indossano i bellissimi costumi firmati da Dario Biancullo, affiancato dal trucco di Vincenzo Cucchiara.
È evidente, ormai da tempo, la volontà di Enzo Moscato di circondarsi di giovani attori ed interpreti che diano vita ai suoi testi e alle sue parole, alcuni di essi ormai noti e in fase di crescita, altri ancora in fase di perfezionamento. In particolare, si sottolinea la crescita artistica del giovane Giuseppe Affinito, che qui incarna perfettamente il ruolo di Joceline, e l’ottima interpretazione di Anita Mosca e di Luciano Dell’Aglio, rispettivamente nei panni di Josephine e di Baby-Reci1.
Entrambi i testi qui citati sono inevitabilmente connessi e l’uno è indispensabile all’altro per raccontare la storia e l’evoluzione della drammaturgia e delle scelte firmate da un determinato autore.

LIBIDINE VIOLENTA
testo e regia Enzo Moscato
con Giuseppe Affinito, Luciano Dell’Aglio, Tonia Filomena, Domenico Ingenito, Emilio Massa, Enzo Moscato, Anita Mosca
scena Luigi Ferrigno
costumi Dario Biancullo
organizzazione Claudio Affinito
realizzazione scena Alovisi Attrezzeria
produzione Teatro Metastasio di Prato, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Casa del Contemporaneo