È un tempo il nostro in cui l'amore sembra poter essere percepito solo per il tramite della nostalgia, anzi è l'amore stesso una sorta di nostalgia che sta sempre in un altrove esistenziale, che sia il passato od il futuro ma quasi mai il presente, e che dunque può forse essere percepito e delineato in qualche consapevolezza solo nel momento in cui un occhio terzo se ne impossessa e, suscitando quell'invidia mimetica che René Girard ha a fondo studiato, ce lo rende improvvisamente evidente ed insieme paradossalmente indispensabile. Oppure, sempre nel nostro confuso oggi, ce lo dobbiamo immaginare non come un sentimento ma bensì, con un approccio diffusamente organicistico ma forse molto poco scientifico, come una sorta di chimica dell'organismo, che ne dispone producendo ormoni che vanno in un senso e che poi vanno nel senso contrario. Questa drammaturgia che al nostro oggi guarda con un occhio ironicamente acuto, si addentra in questo contraddittorio confrontarsi con un sentimento
che non conosciamo fino in fondo, o forse affatto, ma di cui parliamo e trattiamo in continuazione quasi facendolo corollario indispensabile del vivere.
Due donne, così diverse ma anche così coerenti e sovrapponibili, ed un uomo che è solo la mascherà di sé detta dall'incedere eloquente del femminile, a comporre un triangolo all'apparenza consueto ma in cui in realtà ciò che è importante è, appunto, ciò che sembra mancare ma che è continuamente evocato, l'amore.
Insomma lui lascia lei, dopo molti anni di vita comune, per l'altra (la novità), ma quegli anni pesano e allora il legame non si spezza ma si sovrappone nella (sua) mente confusa che leggiamo quasi di riflesso, fino a che entrambe, lei e l'altra, lo 'mollano' quasi facendolo finalmente e durevolmente scomparire.
Consapevolezza femminile in un mondo segnato ancora dai femminicidi in nome dell'impossibilità presunta a sciogliere o meglio dell'incapacità (da parte di molti maschi) ad essere sciolti contro la loro volontà da un legame che non hanno saputo nutrire.
Così la narrazione tenta di far intendere nello sdoppiamento della presenza scenica, evocando in continuità il mito della mela platonica tagliata in due, che a stare nel mezzo non è tanto la verità, come recita un vecchio proverbio, ma proprio l'Amore che continua da sempre ad occupare il mistero che ci attraversa, quel luogo irriducibile e profondo, quell'essenza inevitabile chiamata in tanti modi (anima, mente, inconscio ecc.) con cui prima o poi dobbiamo confrontarci e in cui si manifesta talora prepotentemente.
Il quale Amore è dunque più di un sentimento, svelandosi soprattutto, come insegnano tante riflessioni tra la metafisica e la psicologia, un modo di vedere (interpretare) la realtà che, nella relazione con l'altro umano, si fa mondo intorno a noi.
Uno spettacolo che si caratterizza non soltanto per l'ironia ma anche per una sorta di comicità disincantata che qualche volta fa ridere, anche per difesa se vogliamo, ma molto più spesso ci fa riflettere più a fondo.
Come che sia, e qualunque cosa sia, dell'amore non possiamo facilmente fare a meno, nell'esistere e anche nel pensare, come suggerisce Emile Michel Cioran, filosofo rumeno naturalizzato francese, maestro dell'aforisma e del paradosso, che si definiva un idolatra del dubbio ovvero un dubitatore in ebollizione e che, tra l'altro ha scritto:
<<Talvolta si vorrebbe essere cannibali non tanto per il piacere di divorare il tale o il tal'altro, quanto per quello di vomitarlo>> e ancora <<la sola cosa che possa salvare l'uomo è l'amore. E se molti hanno finito per trasformare in banalità questa asserzione, è perché non hanno mai amato veramente>>.
Una drammaturgia, questa di Mariano Dammacco al contrario di molti analoghi tentativi, che non è tanto sul femminile quanto è soprattutto una riflessione sull'immagine del maschio quale emerge, o si pensa emergere, dagli occhi disincantati di due donne in cui è nascosta una sorta di chiave del mistero.
In una scenografia anch'essa doppia e speculare, una brava Serena Balivo, dalla recitazione molto caratteristica, è “lei e l'altra”, un sé e il doppio di quel sé, mentre si aggira in scena il fantasma di lui, in una maschera guidata con proprietà da Erica Galante.
Alla sala Campana, ospite della Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse dal 16 al 17 dicembre. In prima regionale, una scelta apprezzabile e apprezzata dal buon pubblico presente.
Uno spettacolo con Serena Balivo e con Erica Galante. Disegno luci Stella Monesi. Ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco. Produzione Piccola Compagnia Dammacco / Infinito / Operaestate Festival Veneto.
Foto Luca Del Pio