Sulla figlia dei De Meis, Betta, l’aspirante drammaturga e scrittrice, non ho molto da raccontare: è una ragazza venticinquenne, a suo modo dolce, con un viso luminoso, attraente, molto simile a quello della madre Elena da giovane, occhi profondamente neri, con un bell’incarnato, ed è di complessione corporea piuttosto piccola; caratterialmente è una giovane piuttosto chiusa, piuttosto timida, a volte scontrosa; volenterosa al punto da ottenere con grande profitto la laurea magistrale al Dams. Non ricordo come sia nata in lei la passione per la scrittura, sia per le scene, che per la pagina; ricordo giusto che una volta, essendo la figlia sedicenne, Elena mi passò perché lo leggessi un suo racconto di 5 o 6 pagine: abbastanza originale, ertamente con uno stile ancora da assestare, comunque dimostrativo di una buona vena creativa adatta a raccontare delle storie.
Incontro Betta nei corridoi della Facoltà, più carina che mai, la fermo sorridendole e porgendole la mano, dicendole:
“Ciao Betta, hai visto che prima o poi ci saremmo incontrati, eh?”.
“Si, prof, anch’io me l’aspettavo, prima o poi…”.
“A casa tutti bene? è un pezzo che non sento i tuoi… i fratelli vanno alla grande?”.
“Direi che loro vanno alla grande, ed io… io, alla piccola…”.
“Come sarebbe, so che stai per laurearti con una media altissima!? Oppure ti riferisci, che so, all’amore… al legame col tuo ragazzo… Dino, o Pino, Rino, scusa mi sfugge proprio il suo nome…”.
“Dino, Dino, ma non è quello il problema!”.
“E qual è allora, se mi permetti di chiedertelo?”.
“Son contenta che mi chiedi questo, io non te l’avrei mai detto!”.
“Hai ‘problemi con qualche mio collega?”.
“Si… nel senso che…”.
“Nel senso che?”.
“Il prof di Drammaturgia, al quale avevo chiesto di leggere un mio atto unico, me lo ha distrutto, con un giudizio catastrofico!”.
“Mamma mia, non è che esageri? E quindi vorresti che dessi un’occhiata al testo anch’io, vero?”.
“Beh, si, magari, forse mia madre ti avrà detto che la mia grande passione è scrivere, romanzi e testi drammatici in particolare…”.
“Si, credo… mi pare che… si, si, me lo deve aver detto qualche tempo fa…”.
“Sia chiaro, io non mi credo, che so, una novella Dacia Maraini, o una Ginzburg, tanto per fare un nome importante, però… insomma distruggere il mio scritto come ha fatto il prof…”.
“Il prof?”.
“Non chiedermi chi è, non vorrei proprio dirtelo…”.
“Ma tu pensi che io vada a rimproverarlo, a dirgliene quattro, così ex abrupto?”.
“Beh, devo ancora fare il suo esame, il penultimo prima della laurea, per cui… egoisticamente…”.
“Allora si, giusto, è giusto Betta, hai ragione…”
“Allora posso inviarti il testo via mail? e mi raccomando di prenderti tutto il tempo che ti serve, non c’è fretta… eee… grazie davvero!”.
“Certo, d’accordo!”.
La saluto, la vedo molto impacciata, deve aver fatto uno sforzo inaudito per chiedermi quel piccolo favore… ma mi era parso che il tempo cronologico fosse tornato indietro, e che mi trovassi di fronte a sua madre Elena, giovanissima, mia bella del Signore, delicata, davvero un fiore unico della natura! Come dir di no a sua figlia, quasi sua goccia d’acqua!
Qualche giorno dopo mi arriva la mail con il testo in allegato, scarico e stampo.
Si tratta di un atto unico a due personaggi, dal titolo Mai più. Protagonisti un giovane biologo, Stefano, e la sua ragazza, Giulia, studentessa di filosofia, ormai quasi giunta alla laurea. Lo leggo con attenzione, però, ahimè, man mano con sempre maggior delusione: dialoghi piuttosto banali, sentimentalistici, poca originalità nel conflitto, costituito da un presupposto tradimento di lui con un’amica di Giulia; poca azione, nessun vero colpo di scena; insomma, un testo debole, poco teatrale, e penso che il collega abbia visto giusto! Ora però il problema è come affrontare quella ragazza senza mentire, cosa che sarebbe ancor più dannosa per lei… come poterla incoraggiare nonostante le critiche… penso pure all’eventuale reazione seccata di Pietro, il padre… un bel pasticcio, una bella gatta da pelare… col rischio di trovarmi contro tutta quella strana famiglia di artisti!
Mi viene un’idea: perché non scriverle una bella lettera, ben pensata, con calma, dosando le parole, senza l’impaccio emotivo di un faccia a faccia? Penso pure che così eviterei alla stessa Betta, dal carattere un po’ fragile, uno stress sicuramente controproducente…
Sono al mio PC, e inizio a scrivere:
Cara Betta,
ho letto con attenzione il tuo Mai più. Innanzi tutto scusami se la mail è lunga, ma mi sento di potere e dovere suggerirti diversi input, per migliorare il tuo testo. Ma non intendo dal punto di vista tecnico, so che sicuramente i miei colleghi e i docenti dei laboratori ti hanno già istruito bene da questo punto di vista. Ora non ti do alcun giudizio, ti dico solo di leggere quanto ti scrivo e dopo di riprendere in mano il testo e confrontarlo con le riflessioni che qui seguono. Dico solo che c’è del buon materiale, che denota sensibilità e precisione, ma a mio parere non bastano, e a te serve un livello superiore di resa, sapendo che hai nel cuore e nella testa il desiderio di scrivere professionalmente.
Prima di tutto devi interiorizzare, far tuo dentro di te il principio che il poeta vero, l’artista, l’attore, il drammaturgo, in fondo, sono coloro che “mettono in forma”, nell’atto di reinvenzione poetica, qualsiasi manifestazione della Vita, amandola, innanzi tutto, e quindi, attraversando anche i suoi inferni, come pure i suoi misteri. E preservandola nell’atto creativo dal “brusio”, dai “rumori” di fondo perturbanti del mondo, dalle “trite e inutili parole” della chiacchiera massmediatica, dai molteplici condizionamenti e impedimenti del nostro tempo, dal determinismo monistico, dai miti moderni e postmoderni del potere tecnoscientifico. Dico questo riferendomi, ad esempio, al personaggio di Giulia, troppo cattivo in certi momenti, per una gelosia e una mentalità di possesso troppo forte, la fai odiare al lettore, pur essendo la protagonista.
Vorrei qui precisare che il mettere insieme varie figure della creatività (poeta, artista figurativo, attore, drammaturgo) vuol dire che ciascuna di esse, nel suo specifico campo, deve saper abbandonare ciò a cui inevitabilmente la vita concreta porta ciascuno di noi, e cioè: l’agire meccanicamente; il pensare per schemi; il parlare per frasi fatte; insomma tutti quegli automatismi che nella vita d’ogni giorno tendono a farci risparmiare tempo, fatica, fastidio, denaro. Gli automatismi uccidono la creatività! Per cui re-inventare poeticamente la vita significa eliminare il più possibile il pensiero automatico; evitare ciò che è scontato, prima ancora di scegliere la propria poetica, il proprio stile, il proprio linguaggio, è una conditio sine qua non ; certo, mi dirai che risulterebbe molto difficile “inventare” per sintesi poetica. Certo, è così, ma appunto ti invito a ripulire il testo da questi eventuali elementi negativi che riducono il valore creativo della tua scrittura.
Bene: chi vuol reinventare la Vita, la Realtà poeticamente, deve essere intimamente aperto a ogni sua manifestazione, sia negativa che positiva, fin’ anche quelle misteriose (il poeta spesso è un mistico che interroga la divinità nel suo profondo mistero!).
Attenta anche, per il tuo futuro, al fatto che purtroppo il mercato vuole “prodotti artistici” simil televisivi, e questo è un enorme ostacolo per chi sa di poter dire qualcosa fuori dal coro, e soprattutto non confuso nella stragrande superficialità dei messaggi. Però io penso, ad esempio, che dedicandosi a forme e generi comici, satirici, umoristici, si possano evitare molti rischi, e anche qui voglio ricordare un grande maestro della tradizione europea quale fu Molière! E, all’oggi, si pensi alla lezione di un Dario Fo.
Infine, voglio dirti anche che, chi, come noi, come tuo padre Pietro, ama il teatro, e lo fa, deve rendersi conto che esso è un prodotto artistico oggi “scaduto”, che cerca soprattutto di divenire un’eccezione nella società dello spettacolo, ma non venendo “ridotto” a eccezione: vuol dire che dobbiamo sfiorare o toccare pienamente livelli “eccezionali” di valore espressivo, artistico. Certo, occorre l’aiuto indispensabile che una società civile deve saper dare, in qualsiasi modo! Ma l’arte teatrale occidentale deve guardare alle sue origini, giacché se si mette a gareggiare coi miti attuali è destinato a perdere, forse a scomparire!
Ti dico questo, penso che sia giusto dirtelo, non per deprimerti, ma per spingerti a dare il massimo di te stessa, pian piano, provando e riprovando.
Chiamami pure al mio cellulare (tua madre ha il mio numero), senza lacuna ritrosia, o timidezza.
Un abbraccio affettuoso da un prof amico!
Niente, da Betta non arriva alcuna risposta, alcuna chiamata, né lei né i suoi familiari mi hanno fatto sapere della sua laurea, passano i mesi ma della ragazza nessuna traccia; mi auguro solo che tenga conto almeno in minima parte degli input che le ho suggerito: chissà, dai De Meis ci si può aspettare di tutto !!!
Storie di una strana famiglia di artisti 5
- Scritto da Giorgio Taffon