E se la fisica quantistica potesse avvicinare l’umanità alla soluzione di atavici dilemmi esistenziali? Da questo auspicio, positivistico e forse utopico, si basa il testo scritto nel 2011 dal giovane – trentotto anni – drammaturgo e sceneggiatore britannico Nick Payne. Nell’anno della sua prima messinscena, con protagonista il noto Jack Gyllenhall, il play si aggiudicò l’Evening Standard Award come migliore opera teatrale. Ora esso giunge infine in Italia con la traduzione di Matteo Colombo, la regia del giovane Raphael Tobia Vogel e l’interpretazione di due attori anch’essi divisi fra set e palcoscenico, ossia i bravi Elena Lietti e Pietro Micci. Una pedana rettangolare al centro del palcoscenico con il pubblico su entrambi i lati lunghi, sovrastata da un’americana con proiettori da cui hanno origine fasci luminosi che disegnano traiettorie e, appunto, schemi di possibili costellazioni, sul palcoscenico – la scenografia, geometricamente semplice e allusiva, è di Nicolas Bovey. Due i personaggi, Elena e Pietro – i nomi
di battesimo degli interpreti – di cui viene ricostruita la storia d’amore o, meglio, le possibili, coesistenti, varianti di una loro vita a due, a cominciare da modalità e individuale situazione sentimentale del loro primo incontro.
Lui, Pietro, è un apicoltore; lei, Elena, è una ricercatrice universitaria specializzata in cosmologia quantistica. Per quanto distanti possano sembrare le loro realtà – non soltanto lavorative – i due condividono l’attitudine all’osservazione dei meccanismi della natura, che sia quello che regola la rigida società delle api; ovvero quello, ancora in larga parte ignoto, che detta il funzionamento dell’universo. Da qui la possibile reciproca attrazione, che si materializza poi in una convivenza messa successivamente in crisi dall’infedeltà ma rinsaldata, forse, dalla grave malattia di lei…
La narrazione, tuttavia, non è lineare bensì procede per sipari, anche molto brevi e intervallati dal buio, che ricostruiscono le differenti eppure parallele strade che avrebbero potuto percorrere insieme i due protagonisti. È, dunque, più corretto parlare di narrazioni, parallele certo ma non simmetriche, ché i piani temporali non sempre coincidono, con slanci in avanti ovvero repentini passi indietro che, nondimeno, consentono, alla fine, allo spettatore di ricomporre coerentemente le varie, possibili, varianti di una medesima vicenda umana.
Non si tratta, però, di una drammaturgia fondata sul noto modello delle sliding doors, bensì di un’applicazione, fedele al galileiano metodo sperimentale, della teoria, propria della fisica quantistica, dell’inconsistenza del concetto di tempo, frutto più di astratta e consolatoria speculazione filosofica che di oggettiva osservazione e analisi del cosmo, di cui siamo infinitamente piccola parte.
Una verità suggerita in uno dei sipari dalla stessa Elena, avanzando altresì l’ipotesi dell’illusorietà del concetto di libero arbitrio: non c’è scelta quando tutti i possibili esiti delle nostre decisioni, così come degli accidenti esterni, convivono, benché in dimensioni parallele. Quella che, alla nostra vigile coscienza, appare l’unica vita possibile non è che una delle tante, a cui, dunque, potrebbe risultare inutile pensare di porre fine allorché, come forse capita alla protagonista, si viene colpiti da un male feroce e inesorabile.
La questione del fine vita, tuttavia, non è il tema centrale di un dramma che, al contrario, si interroga proprio sulle nostre molte, possibili, esistenze, instillando nel pubblico allo stesso tempo speranza e disillusione, sollievo e scoraggiato fatalismo. Un testo acuto e profondo, scientificamente informato e drammaturgicamente inappuntabile: un meccanismo perfetto per interrogarsi sulla rigida volubilità del nostro fato.
Testo di Nick Payne. Traduzione di Matteo Colombo. Regia di Raphael Tobia Vogel. Scene e costumi di Nicolas Bovey. Luci di Paolo Casati. Con Elena Lietti e Pietro Micci. Prod.: Teatro Franco Parenti, TPE-Teatro Piemonte Europa.
Visto al Teatro Astra di Torino il 16 dicembre 2022.
Foto Franco Parenti