Un incidente in una centrale nucleare causa uno tsunami e costringe gli abitanti della zona coinvolta a fare i conti con l’elettricità a intermittenza, l’acqua non più potabile e la strage di animali e piante. Una realtà complessa cui paiono essersi adattati senza troppe difficoltà Hazel (Elisabetta Pozzi) e Robin (Giovanni Crippa), una coppia di “giovani” pensionati che in quello stesso impianto aveva lavorato in virtù della propria specializzazione in ingegneria nucleare. La loro esistenza, rigorosamente routinaria, è sbilanciata dall’improvvida visita di una ex-collega, Rose (Francesca Ciocchetti) che, dopo una carriera negli Stati Uniti, è tornata in Inghilterra proprio in seguito all’incidente… Il dramma della britannica Lucy Kirkwood, dopo il debutto nel 2016 al Royal Court Theatre di Londra e l’approdo a Broadway, giunge adesso in Italia, in un lineare e fedele allestimento diretto da Andrea Chiodi, correttamente interessato più a evidenziare la maestria dell’autrice nel costruire dialoghi ora ironici e scettici,
ora disperati e teneri, che a escogitare invenzioni registiche che, però, allontanerebbero dalla precisione del meccanismo drammaturgico.
Kirkwood, infatti, è abile nel combinare il tratteggio dell’esistenza privata dei tre protagonisti con una tematica di urgente attualità quale l’aumentato rischio di disastri esiziali conseguenza di un pluriennale disinteresse verso l’integrità dell’ambiente.
La coppia, da una parte, e l’amica, dall’altra, sono epitome di due differenti approcci alla vita: la scelta di una famiglia numerosa e, dopo la pensione, quella di un ritorno alla campagna, con l’avvio di un’attività di allevamento di mucche e trasformazione del latte; in apparente opposizione alla totale adesione al lavoro di Rose. In realtà, ci suggerisce l’autrice, i tre condividono con la generazione di cui sono parte non poche responsabilità nei confronti dei “bambini” del titolo, ossia di quei giovani il cui futuro sembra pregiudicato dalla spensieratezza di genitori e nonni. Una presa di coscienza di cui Kirkwood evidenzia la necessità senza tuttavia scivolare in toni vanamente accusatori ma, al contrario, ricorrendo al razionale pragmatismo di cui informa il personaggio di Rose.
Il tocco sapiente dell’autrice britannica, capace di ritrarre senza giudicare fragilità e idiosincrasie delle proprie creature teatrali, fa sì che il suo play non si tramuti mai in un dramma a tesi né tantomeno in un copione generato da un’urgenza politico-sociale solo contemporanea, bensì acquisti un orizzonte più ampio, coincidente con l’antichissima questione dell’eredità, troppo spesso fatalmente vincolante, lasciata da ogni generazione a quella successiva.
Testo di Lucy Kirkwood. Traduzione di Monica Capuani. Regia di Andrea Chiodi. Scene di Alessandro Chiti. Costumi di Ilaria Ariemme. Luci di Cesare Agoni. Musiche di Daniele D’Angelo. Con Elisabetta Pozzi, Giovanni Crippa, Francesca Ciocchetti. Prod.: Centro Teatrale Bresciano, La Contrada – Teatro Stabile di Trieste.
Visto al Teatro Gobetti di Torino il 17 dicembre 2022
Foto di Masiar Pasquali