È, questo, uno spettacolo, impostato su una intuizione del giornalista Pietrangelo Buttafuoco diventata drammaturgia per la penna di Massimiliano Lussana, che nasce da una idea interessante, e anche per certi aspetti intrigante, l'idea cioè di sovrapporre i “Mille” di Giuseppe Garibaldi che partendo dallo scoglio di Quarto hanno fatto l'Italia, con i “mille” (sono molti di più ma ormai “Mille” è un concetto piuttosto che un numero) che hanno fatto il ponte che c'è (quello di Genova San Giorgio) e che potrebbero fare, o almeno esserne di esempio, il ponte che non c'è (quello sullo Stretto di Messina), fatte ovviamente salve tutte le differenze di opinioni, le contraddizioni e le difficoltà varie di quest'ultimo (ma non è cosa che riguarda il Teatro, non direttamente almeno). Una invenzione narrativa suggestiva cui, però, è a mio avviso mancato un coerente ed efficace approfondimento. “I Mille del Ponte”, infatti, è una prova scenica a tratti piacevole ma meno brillante di quanto ci si sarebbe potuto aspettare,
ricca di ammiccamenti talvolta 'astuti' diretti più alla pancia che all'anima della città, che galleggia e scivola sulla sua superficie 'celebrativa' e che, così facendo, rischia di nascondere gli aspetti meno edificanti, appena accennati, insieme a quelli più tragici della vicenda in cui si specchia impedendone così una vera elaborazione.
A partire dai mancati controlli e dalla carente manutenzione da parte della Società privata concessionaria del vecchio Ponte Morandi, che il Processo Penale in corso anch'esso dimenticato, sembra poter dimostrare, e dunque dal prevalere di quella rapinosa e inesauribile sete di profitto che ha portato a ciò che è poi accaduto.
Spicca inoltre, e spiace, la mancanza di un vero, adeguato e dovuto riferimento alla tragedia di quella piovosa mattina del 14 agosto 2018, che tutti i genovesi hanno impresso nella mente (una pioggia sulla cui rumorosa e dolente melodia pur si apre il sipario) e alle 43 vite che quel giorno furono ingiustamente sacrificate, nello spettacolo mai menzionate.
Se è pur giusto guardare anche alla energia del 'dopo', forse quelle vittime, e i familiari che ancora le piangono e ricordano, avrebbero trovato qualche conforto ad essere fatte parte di quello scatto, di quella voglia di ricominciare e ricostruire di cui lo spettacolo drammaturgicamente narra e che spesso ha caratterizzato la storia secolare di Genova nei suoi momenti più bui e che di quel loro esserne parte non può che meglio illuminarsi.
Certo è che uno spettatore non attento o non genovese poco o nulla del 'prima' che ha provocato quella reazione positiva avrebbe appreso.
Un impresa collettiva, di cui le foto di alcuni dei mille vogliono essere una specie di sonda che va a riguardare molti se non tutti, non può che giovarsi della tutela attenta della sensibilità comune che vive anche della e nella memoria.
Altra cosa il teatro 'inchiesta' di un tempo che fu, ma neanche troppo lontano. La regia e anche l'interpretazione, comunque volenterosa, del protagonista sono così, e di conseguenza, spesso troppo attente a strizzare l'occhio alla disponibilità del pubblico. Di buona professionalità i musicisti in scena.
Al teatro Gustavo Modena, ospite del Teatro Nazionale di Genova dal 31 gennaio al 5 febbraio. Il pubblico ha applaudito (talvolta più a se stesso che allo spettacolo).
Produzione A.S.C. Production arte spettacolo cultura srl. Regia Alessio Pizzech. Scene e costumi Paolo Previti. Interpreti Mario Incudine e Antonio Vasta, Francesco Bongiorno, Pino Ricosta Arrangiamenti musicali Antonio Vasta. Ingegnere del suono Salvo Lo Vecchio. Disegno luci Vincenzo Miserandino
Foto Salvatore Clemenza