Un attore di giro convertitosi al cabaret va a trovare la figlia – separata e con due figli adolescenti – che non vede da molti anni e con cui, inevitabilmente, la relazione non può che essere tutt’altro che schietta e placida. È una sera piovosa e la figlia è angustiata per le esose conseguenze di una bravata compiuta dal suo primogenito, situazione assai delicata che si trova ad affrontare da sola – non solo il marito l’ha lasciata ma forse le amiche non sono molte… Questa, in sintesi, la premessa del nuovo dramma di Armando Pirozzi, messo in scena, com’è consuetudine, da Massimiliano Civica e interpretato dal “maestro” Renato Carpentieri e dai giovani – e ancora decisamente acerbi – Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti. Su una scena occupata da pochi arredi – un tappeto, una poltrona, un vaso con piume di pavone e un baule che è anche mobile-bar – si dipana una lunga serata, che diviene poi nottata, durante la quale emerge, da una parte, la solitudine della figlia; dall’altra la scelta, egoistica e ammantata da un certo testardo infantilismo, del padre, che preferì il palcoscenico alle responsabilità familiari. Accanto ai due, compare a un tratto la figura di un giovane collega del padre,
spalla in scena e amministratore di compagnia, che è, allo stesso tempo, figlio putativo ma pure doppio del protagonista. La freddezza e la pragmaticità della figlia si rifrangono sulla vocazione a quella apparente fuga dalla realtà che è il teatro che il padre ha inseguito durante tutta la sua esistenza – il titolo, non a caso, è citazione dalla Tempesta di Shakespeare, autore frequentemente e fatalmente citato.
Il padre, dunque, intuiamo voglia essere nelle intenzioni di Pirozzi una sorta di crasi fra Prospero e Re Lear, un suscitatore di incantesimi ma anche un genitore difettoso e infine consapevole di dover chiedere perdono. Un uomo ormai maturo e desideroso di riparare al dolore inflitto nel passato e nondimeno incapace di rinunciare al suo naso rosso da clown.
Realtà e sogno, cinismo ed empatia, concretezza e visionarietà sono quindi le dicotomie su cui è costruito il testo che, tuttavia, non ci è parso del tutto convincente: dialoghi spesso plasmati su una prevedibile convenzionalità e soluzioni drammaturgiche evidentemente fragili, quali la comparsa in scena del doppio giovane del protagonista. Altrettanto artatamente costruito ci è sembrato il sipario in cui la figlia è resa protagonista di una piccola messinscena da salotto… Il copione, nel suo complesso, pare reggersi su un’architettura esile e dagli snodi tutt’altro che oliati tanto che i passaggi da un sipario all’altro risultano rallentati e forzati mentre i succitati riferimenti shakespeareani anziché funzionare quali propulsori di riflessioni originali, risultano alfine citazioni superficiali e meramente decorative.
Peccato, poiché intenti e spunto tematico di partenza si presentavano assai promettenti. Resta almeno la grande prova d’attore di Renato Carpentieri, istrione dolente e ancora ammaliante.
Testo di Armando Pirozzi. Regia di Massimiliano Civica. Costumi di Daniela Salernitano. Disegno luci di Massimo Galardini. Suono di Daniele Santi. Oggetti di scena a cura di Enrico Capecchi e Loris Giancola. Con Renato Carpentieri, Vincenzo Abbate, Maria Vittoria Argenti. Prod.: Teatro Metastasio di Prato.
Visto al Teatro Astra di Torino il 5 febbraio 2023
Foto di Duccio Burberi