Questa ultima drammaturgia di Frosini/Timpano ha, a mio avviso, un immediato pregio, quello di metterci di fronte, per dirla con i Futuristi stessi, a un esplosivo e dissociante grammatical/linguistico/estetico doppio binario interpretativo e significante. Basta alternare soggetto e oggetto o complemento perchè possa intendersi, al titolo mi riferisco, da una parte “il disprezzo verso la donna” di una secolare cultura patriarcale, dissociata tra esaltazione e svalorizzazione, tra madre e amante ma entrambe in subordine, e “il disprezzo che la donna ha cominciato a maturare” verso quella condizione imposta e verso coloro che la imponevano. Il disprezzo, cioè, profondamente rivoluzionario di un femminile, proprio in quei decenni sempre più consapevole di sé, che si faceva man mano femminismo anche militante, a beneficio di un maschile stretto nel dilemma di un patriarcato in disgregazione. Un approccio dissociante in quanto dissociato che mescola, attraverso la girandola di citazioni dai
principali scrittori e dalle principali scrittrici del movimento avviato da Marinetti, e fa discendere dal tema principale una serie di recuperi all'apparenza estranei (il suffragio universale, il rifiuto della democrazia liberale, l'eversione della famiglia o meglio del familismo della famiglia) ma che in realtà ne sono il riflesso, ruotando in fondo ed essendo mossi proprio dall'enigma del femminile che si faceva, socialmente, storicamente e culturalmente, intricato e intrigante.
In realtà, ci suggeriscono Frosini e Timpano, poco avevano capito i futuristi maschi di quell'enigma, della donna in sostanza, attorno alla quale rafforzavano nella finzione del romperli molti degli stereotipi che proclamavano di voler (sich!) infrangere, ma che, nel contempo, proprio attraverso quella finzione stimolavano l'emergere di nuove consapevolezze femminili, che li sorprendevano e anche terrorizzavano fino al paradossale e psicotico rifugio in una mascolinità del tutto autonoma ovvero incapace di riscattarsi.
È, quest'ultimo, il confine della definitiva ininfluenza, il confine da cui ha preso le mosse, e messo le sue radici, un rinnovamento nascosto che è emerso, dalle tombali coperture in cui era costretto, anni e generazioni dopo, quasi che quegli stessi apprendisti stregoni dell'inutile e già subornato modernismo futurista lo avessero del tutto involontariamente evocato.
Una drammaturgia intelligente, dunque, che costruita esteticamente sulla contraddizione e sulla dissociazione narrativa, vuole mostrarci quella contraddizione oltre la sua apparenza, utilizzando proprio gli strumenti linguistici innovativi (in fondo liberatori di catene intellettuali e culturali) che i futuristi hanno in quel loro tempo elaborato, ed è il loro principale (o forse unico) merito.
Questo soprattutto durante il primo più energico futurismo, mentre il loro secondo periodo, come noto, scade in una letteraria e più stanca ripetività, anche per i legami sempre più stretti e ormai 'istituzionalizzati' con il regime fascista.
Come se mostrando ed ironicamente enfatizzando, il loro opposto (maschilismo e violenza guerrafondaia in primis, i temi cari a quel movimento) i drammaturghi disegnassero i tratti di ciò che può caratterizzare oggi un possibile, condiviso e collettivo, rinnovamento che parte appunto dalla liberazione della donna per abbracciare, pacifismo, rispetto del diverso, e perché no, anche se ora sembra del tutto inattuale, almeno l'idea di una rivoluzione.
Lo spettacolo è come di consueto rutilante, giocato sul grottesco della mimica che spesso vira in una malinconia a stento celata, e sulla vivacità della prossemica nel vuoto di una scena in cui solo le luci fanno scenografia.
La scrittura è, come detto, un mosaico anzi un puzzle di testi futuristi, dominati ovviamente da quelli di Filippo Tommaso Marinetti, che ai più famosi abbinano alcuni meno conosciuti, soprattutto riproponendo il poco conosciuto e valorizzato contributo femminile al movimento.
Artiste di cui poco si sa e si legge e che pertanto meritano una esplicita citazione: Rosa Rosà , Enrica Piubellini, Valentine De Saint Point, Irma Valeria, Adele Clelia Gloria, Benedetta Cappa Marinetti, Maria d'Arezzo.
Ma ovviamente la mescolanza, la sovrappozione, le corrispondenze improvvive e suggestive che guidano la composizione letteraria e l'adattamento scenico ne fanno una vera e propria nuova scrittura capace di mobilitare pensieri inattesi e nuove ricadute di significato.
Dei due drammaturghi attori già abbiamo detto, ma vale la pena di sottolineare l'utilizzo che gli stessi fanno del loro corpo in scena, piegato talora alle apparenti rigidità della marionetta ma in grado per questo di liberare una umanità, psicologica e anche affettiva, capace di arricchire ulteriormente testo e messa in scena.
Al Dialma Ruggero di La Spezia, per il Cantiere Creativo Urbano, sabato 18 febbraio ospite della Compagnia Gli Scarti che ne è anche co-produttore. Sala piena, molti giovani e molti applausi.
DISPREZZO DELLA DONNA Il futurismo della specie. Drammaturgia, regia e interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano, disegno luci Omar Scala, disegno del suono Lorenzo Danesin, costumi Marta Montevecchi, collaborazione alla drammaturgia e regia Francesca Blancato, organizzazione Laura Belloni. Produzione Gli Scarti, Frosini / Timpano – Kataklisma teatro, in collaborazione con Salerno Letteratura Festival. Immagine del manifesto Valentina Pastorino.
Foto Francesco Tassara