Lo sguardo crudele sul male, secondo la spiazzante drammaturga spagnola Angelica Liddell, è necessario all'essere umano, ad ogni essere umano, affinché possa rappresentarsi ed essere rappresentato nella sua più irriducibile sincerità o essenza. Ma per non ridimensionarsi a superficiale voyeurismo ha bisogno di utilizzare, a sua stessa difesa e a protezione della stessa sincerità, quello strumento potentissimo che è la “carità”, la cui forza, che non ha bisogno di spiegazioni o giustificazioni, è tratteggiata liricamente e metafisicamente, dunque anche religiosamente, da Paolo di Tarso nella sua prima lettera ai Corinzi (CAP. 13): “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.” Ho detto anche religiosamente riferendomi proprio a questa suggestione, che è una sorta di innesco per una esplosione drammaturgica articolata e differita in tappe figurative e linguistiche che occupano progressivamente, fino ad intasarla, la scena della
nostra mente, il palcoscenico del nostro sentire, affettivo, sentimentale quasi prima ancora che psicologico.
Anche religiosamente perché l'esergo della riflessione di Paolo va oltre, riassumendo l'ultima delle tre teologali virtù la carità appunto, una indeffettibile radice laica e metafisica di ogni religione che sappia farsi strumento di transito e non di imprigionamento, un fatto di rivoluzione insomma che da lui e da Cristo transita solo per meglio raggiungerci.
La sua dirompenza sta appunto nel suo essere una riflessione lirica, in contatto diretto e senza mediazione alcuna con gli strati più profondi del nostro essere ed esistere, quelli appunto in cui hanno radici carità e amore.
Senza questo strumento saremmo travolti, dal disagio e dall'orrore che nasce non appena abbiamo consapevolezza che gli strumenti, i simulacri che il male utilizza per occupare per quanto può l'universo della vita, non sono l'altro, il 'mostrum', ma in realtà siamo (anche) noi.
Non si tratta dunque di un molto banale 'fascino' del male, ma piuttosto del fatto che il male, pensato ma soprattutto agito, dice qualcosa di noi e qualcosa di importante, e la consapevolezza artaudianamente crudele che la Liddell ci suggerisce è il perdono che offriamo e ci offriamo per riscattare la realtà attraverso quei capri espiatori, crudeli ma anche dolorosamente sofferenti nella loro perversione.
La consapevolezza addolorata che nel male c'è anche bellezza, nella crudeltà gioia, e che il suo esercizio diventa strumento di conoscenza se pagato con la moneta della pietà, cioè della carità che si fa attiva nell'amore.
Ciò non toglie che questa stessa drammaturgia sia spesso più che perturbante, sia urticante e allontanante, che talora provochi un irresistibile rifiuto che, però, man mano si piega a quella necessità di verità profonda che nella non più comoda poltrona comunque ci costringe.
Nel suo profondo è un metterci alla prova, un test attraverso il quale nella sua singolare intimità ciascuno di noi è spinto a verificare, testare appunto, quanta carità è in grado di provare e dunque quanto amore è capace di mettere in campo, fino a quanto, infine, è dentro a questa necessità ineludibile, cioè, detto in altre parole, quanto possiamo riuscire ad essere caritatevoli proprio perché imperfetti.
È, come in altre circostanze, una drammaturgia di citazioni, ed è stato un rimprovero spesso rivolto alla Liddell ma che se ben maneggiato può essere molto creativo, citazioni ben amalgamate e legate con la colla estetica della sua scrittura tagliente, irta di spine e creatrice in continuazione, di ostacoli, di inciampi e quindi di produttivo 'scandalo'.
Una drammaturgia che non volge testa e sguardo altrove, e non chiude orecchie e mente di fronte alle parole dolenti e portatrici di dolore di Bataille, o alla sofferenza rintracciata e mai sublimata di De Sade o Pasolini, alla limpidezza della pagina di Lacan.
Sono solo alcune delle tante tessere che compongono questo mosaico di difficile lettura, in quanto di difficoltosa elaborazione, ma che io credo raggiunga il suo scopo proprio suscitando spesso il nostro orrore/dolore ma quasi mai il nostro rifiuto o la nostra cieca negazione.
Sono nove i capitoli che si susseguono sul palcoscenico, con una efficace comprensibilità estetica che in fondo precede anche la logica, il logos e la parola che con così grande fatica cercano campo, antenne per diffondersi nell'etere della nostra anima, e che ovviamente non dettaglierò, se non per citare i bambini che, da vittime, si fanno protagonisti nella sincerità di un disvelamento profondo dei loro orridi persecutori, di quelli ultima ancora di salvezza su una strada umana lastricata di inferno che sembra non prevedere alcun paradiso, se non quello interiore della nostra, appunto, caridad.
Uno spettacolo difficile, urtante, anche faticoso se vogliamo, e di qualità non solo nell'aspetto estetico e figurativo, dunque, ma anche nella sua componente narrativa condotta abilmente oltre i muri soffocanti dei luoghi comuni, del politically correct, delle ipocrisie dell'oggi e dello ieri, di ogni infingimento.
Come recita il sottotitolo, una approssimazione nel senso di un progressivo avvicinamento alla pena di morte, poiché la morte, in fondo, costituisce l'elemento essenziale e anche la finalità costitutiva di questo nostro breve transito, sulla scena e nella vita.
In prima nazionale al teatro Arena del Sole di Bologna, ospite di E.R.T. Teatro Nazionale, il 15 e 16 aprile per le sue due uniche date italiane. Inevitabilmente capace di stimolare le più controverse reazioni, ma alla fine applaudito.
CARIDAD. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli, testo, scene, costumi e regia Angélica Liddell, con David Abad, Yuri Ananiev, Federico Benvenuto, Nicolas Chevallier, Guillaume Costanza, Angélica Liddell, Borja López, Sindo Puche e con il coro di laringectomizzati SHOUT AT CANCER: Guy Vandaele, Frank Meeus e Andrew Pett, produzione Iaquinandi S.L, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Temporada Alta Girona, CDN Orleans Centre Val de Loire, Teatros del Canal Madrid, in collaborazione con Aldo Miguel Grompone (Roma)