Gigio Brunello più che un burattinaio è un cult, anzi una fede. Chi lo scopre non può più farne a meno: lo segue, lo rinsegue, cerca di non perdere nessuna delle sue creazioni sapendo che sarà, più che sorpreso, calamitato da quel suo modo di
rivoluzionare il quotidiano in palcoscenico, dove il pensiero si fa azione, figura, riso, sberleffo, stupefazione, ribaltamento disarmante di luoghi comuni o scomuni, rivoltati al pari di un calzino spaiato ritrovato. Gigio Brunello è un poeta che conosce il segreto dello scrivere con la scultura e il movimento così come con le parole che sanno trasformarsi in pietre e carezze con quel suo modo di recitare con sapiente, vibrante ingenuità. È un mago che ti risucchia in quel suo mondo impregnato di operai e di operette morali, di ingranaggi sporchi di grasso e di raffinatezze letterarie d’altri tempi. Un segno forte, viscerale il suo, a partire dai suoi burattini che sembrano partoriti direttamente da un tronco che non smette di affondare radici. Burattini così non possono che essere ribelli, insofferenti alle regole, mariuoli e maestri. Nel loro reale l’irreale è atto di natura, urlo di vita, tenerezza donata che li rende custodi di parabole medicamentose per un possibile, per quanto utopistico, riconcilio con la vita.
Alfonso Cipolla
Dizionarietto del teatro di figura
con brevi considerazioni, ad uso delle scuole atzeche
Gigio Brunello
A parte. Quando i burattini si rivolgono al pubblico, il burattinaio non sente e viceversa.
Archetipi. Così come mio nonno Piero, mio padre Egidio sapeva raccontare.
Ogni anno, quando arrivava l’otto settembre, Egidio metteva in scena a tavola il suo capolavoro. L’ottosettembre, tutto attaccato. Dopo il Prologo (per non dimenticare mai! – diceva) c’era il sogno premonitore. Per tre volte sua mamma Regina gli era apparsa in sogno in caserma a Sebenico per dirgli di scappare dai tedeschi. Per tre volte lui si era svegliato di soprassalto. Ma a noi piaceva di più della fuga in ambulanza militare. Salgono in tre, come Ulisse e i suoi compagni aggrappati al mantello dei montoni: il suo amico Pesca alla guida, lui nella parte del tenente medico e un terzo, chiuso dietro con camicia di forza, farà il matto da trasportare all’ospedale militare di Trieste. Così riescono a superare i posti di blocco. Poi venivano una dopo l’altra le varie funzioni della fiaba: l’eroe fugge di notte dal Comando Tappa, poi viene il divieto, l’infrazione fino al lieto fine con l’arrivo (dell’eroe) sullo stradone che porta alla piazza del paese. Ci sono gli abitanti, il coro, poi Regina dà un urlo, si stacca e va verso il figlio che appare in quinta.
Ps. Una funzione che Propp non aveva previsto (perché scrive prima del 1943) è quella del re che scappa.
Auscultare. Gli oggetti ci parlano? Il frate domenicano Vicente de Valverde, per convincere Atahualpa a sottomettersi al re di Spagna, gli aveva messo in mano il libro della Bibbia, la Parola di Dio. Atahuallpa, dopo averla accostata all'orecchio, non avendo sentito nessuna parola, la gettò a terra sdegnato. Nel teatro di figura invece la Bibbia parla.
Baracca. 1 - Costruzione provvisoria, perlopiù di legno o materiali di recupero; abitazione scalcinata, cadente, tugurio. 2 - Impalcatura in legno, ornata di drappi, destinata agli spettacoli dei burattini. Può essere sostituita da paraventi, teli appesi a corde o sostenuti da cavalletti per occultare il/la burattinaio/a e delimitare lo spazio dove tutto si svolge. In questo caso meglio se c’è il pubblico davanti.
Burattini. 1 - Quelli che vivono nelle baracche. 2 - Fig. persona manovrabile, senza carattere, volubile, leggera, che non mantiene la parola: agire, comportarsi come un b., fare il b., cambiare spesso parere o opinione.
Commissione. Oudini o del lavoro su commissione: metti tu le catene e i lucchetti, la mia arte è liberarmi.
Convenzione. Il genere della lirica è il mondo delle convenzioni per eccellenza. Invece di parlare e pensare i personaggi cantano. Gilda già morta, canta dentro il sacco prima di essere gettata nel Mincio. Si consiglia di esporre le convenzioni nel Prologo (vedi Prologo).
Diavolo. 1 - Fuori della baracca è l’emblema del Male. 2 - Nel teatro di figura può essere un povero diavolo.
Distanziamento. Quando il protagonista non sa di essere osservato. Nel caso di proclami, orazioni, esortazioni appassionate e vibranti, è consigliato affidare la parte a un bambino o attribuire il contenuto ad altri (vedi Merda).
Figura. 1 - Teatro di, Ambito teatrale considerato minore. 2 - Figura di m., espressione considerata offensiva.
Historia. «L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl'anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia». A questo punto Manzoni esce dalla baracca e scrive un romanzo.
Inanimato. Nel teatro di figure le cose possono animarsi. Un cacciatore stava seguendo sulla neve le orme dell’orso, perciò le orme per non farsi catturare decisero di separarsi: tu da una parte, tu dall’altra, io di là e tu di qua.
Infanzia. «Se si potesse riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l’infanzia per una qualche via circolare, possederne ancora la pienezza e l’immensità, sarebbe l’adempiersi dell’“epoca geniale”, dei “tempi messianici”, che ogni mitologia ci ha promesso e giurato. Il mio ideale è “maturare” verso l’infanzia. Solo questo sarebbe un’autentica maturità» (Bruno Schulz, Lettere perdute e frammenti, Feltrinelli).
Misure. Alterare le dimensioni. Nel teatro di figura le misure e le proporzioni rispondono a regole sentimentali.
Merda. Parola che il pubblico, al pari di altre espressioni sconvenienti, accetta più facilmente se è una citazione.
- Sai cosa ha detto quel tipo? Ha detto: merda, proprio così: ha detto merda, merda!
- Detto cosa?
- Merda! (ripetere ad libitum).
Mito. Vedi Platonismo.
Morte. 1 - Esperienza umana statisticamente più diffusa. 2 - Nella tradizione del teatro dei burattini è un personaggio che in baracca mette paura. I burattini la fuggono. Lei vince su tutti ma, poiché il genere non è tragico, alla fine arriverà qualcuno a tenerle testa (di solito Pulicinella). 3 - Il teatro di figura può distaccarsi dalla tradizione dando luogo a diverse soluzioni:
a) La Morte ha la meglio all’insaputa dei burattini;
b) le Morti potrebbero essere due o più, ciascuna delle quali segue una singola esistenza; la Morte numero uno cerca il suo cliente e lascia andare gli altri che incontra per strada. magari chiedendo loro indicazioni.
Numeri. Due sono le mani in baracca. Tre è il numero del tormentone perfetto.
Tre volte Enea cercò di abbracciare lo spirito del padre Anchise.
Tre volte Regina apparve in sogno al figlio Egidio per convincerlo a scappare.
Perciò se hai quattro moschettieri, nel titolo scrivi tre.
Oggetti. Rappresentano la condizione umana, conservano le tracce del passato ed evocano i ricordi. È a questo punto che interviene il teatro di figura, evitando loro di finire nei mercatini. Il burattinaio preferisce le soffitte e la bellezza riposata dei solai dove il rifiuto secolare dorme.
Oggetto magico. Usato per fare incantesimi, permette di superare le difficoltà. Ma non sempre è così. Come nel caso della lettera di Tapalal, servitore indio di don Juan Velasquez viceré di Tenochtitlan. Don Juan gli diede un casco di banane da portare in dono al governatore spagnolo di Teotihuacan. E una lettera con riportato il numero di banane. Per strada Tapalal, dopo aver più volte portato all’orecchio la lettera e non aver percepito alcunché, tranquillizzato continuava a mangiar banane. Quando il governatore di Teotihuacan aprì la busta, la lettera parlò dicendo che erano stati attaccati dalle scimmie derubandoli delle banane. (Variante del burattinaio).
Platonismo. Gli Aztechi credevano che i conquistadores a cavallo fossero una cosa sola. Restavano sconvolti quando abbattevano il cavaliere e il cavallo continuava a correre o viceversa. La stessa cosa a volte ho visto fare nel teatro di figura dove i personaggi riconoscono negli oggetti gli archetipi di cui hanno sentito raccontare.
Postulato. Principio indimostrato la cui validità si ammette a priori per evidenza o convenzione allo scopo di fornire la spiegazione di determinati fatti o di costruire una teoria (Wikipedia). Esempio: C’era una volta un paese dove a turno una casa aveva diritto per un mese di spostarsi in piazza per poi cedere il posto il mese successivo a quella che veniva dopo nella lista…
Tutto quello che avviene dopo rientra nella normalità delle cose e non deve essere spiegato.
Prologo. Terenzio utilizzava il prologo in funzione polemica per prendere posizione riguardo ai fatti che stava per raccontare. Plauto invece approfitta del prologo per far conoscere le convenzioni su cui si regge lo spettacolo.
«Oggi farà il ritorno a casa Anfitrione e con lui ci sarà il servo di cui io ho assunto l’aspetto. E io, perché possiate distinguerci meglio, io porterò sul cappello queste alucce, mentre Giove sotto al cappello porterà un cordoncino d’oro. Anfitrione invece non ce l’avrà. La gente di casa, questi segni, non li potrà vedere; voi sì. Ma eccolo qui»… (Tito Maccio Plauto, Anfitrione, Prologo di Mercurio).
Egidio (vedi Archetipo) addotta decisamente il prologo preferito da Terenzio.
Promemoria. Ricordarsi di aggiungere alla voce Ringraziamenti mio fratello Piero, storico.
Propp. Vedi Archetipo.
Questioni. Cappuccetto rosso viaggia con google maps?
Fin quando potremo raccontare storie di uno che si perde nel bosco se esiste google maps?
Ulisse alla corte di Alcinoo fa vedere su whats app il video del ciclope?
Tutti gli intrecci di Propp sono inutilizzabili in epoca di satelliti e google maps?
I droni rendono risibili i racconti?
Dovremo inglobare la nuova tecnologia o presumere di vivere fuori del tempo?
Ringraziamenti. Vedi Promemoria.
Ritorno. Non c’è esperienza del ritorno senza uno schema narrativo che gli dia il senso. Prima viene il racconto, e dopo vivi la realtà alla luce del racconto e delle aspettative sulla base del racconto.
Ulisse viaggia per dieci anni, Penelope lo aspetta senza invecchiare. Provare a far viaggiare Penelope e a lasciare a casa Ulisse.
Tavolo. Mobile costituito da un piano orizzontale e adibito a diverse funzioni. Ottimo come campo d’azione per una sceneggiatura con oggetti. Importante che stiano in piedi da soli. Vedi anche Historia.
Titoli. Il titolo ricorda altri titoli. Appartiene alla famiglia dei titoli.
Paolo Caliari, detto il Veronese, aveva dipinto una grandiosa Ultima cena. Il Tribunale dell’Inquisizione la condannò immediatamente per contenuti eretici. Si cambi titolo, dissero. Quella tela divenne Cena in casa Levi. Adesso si poteva vedere. Questo, cioè cambiare titolo all’occorrenza, è un buon consiglio per chi fa il nostro lavoro e ha a che fare con richieste esigenti dei committenti.
Script. Succede anche a voi? Sto male, mi chiudo in me, perché non sopporto gli allestimenti di Mozart in cui Dorabella è una influencer e assieme a Ferrando, Don Alfonso e Fiordiligi si trova a bordo di uno yacth tra selfie e smart.
Zibaldone. Tra le tante citazioni possibili eccone una:
«A voler che uno possa esser buon comico o buon satirico, è di tutta necessità che questo tale sia, o sia stato degno di satira e di commedia, e ciò per non poco tempo, e in quelle cose medesime che egli ha da porre in riso» (Bologna, domenica in Albis, 2 aprile 1826).