La vita, non solo quando pensata metafisicamente ma anche quando attraversata esistenzialisticamente, è in fondo un mosaico di sentimenti che cercano di comporsi, e non sempre ci riescono felicemente, in una unità consapevole, per noi e per
gli altri che ci circondano, che diventa identità comunitariamente partecipata. Un mosaico diverso e singolare per ciascuno che sul palcoscenico si fa mosaico di racconti coerenti a costruire una trama quanto più robusta possibile, così da rivestire appunto, salvaguardare e legare insieme, quella comunità in cui ci troviamo, forse casualmente ma mai irragionevolmente, a vivere, ciascuno con la propria diversità. Questo ci suggerisce “Il verbo degli Uccelli” l'ultimo spettacolo ideato e diretto da Luigi Dadina, sulla drammaturgia di Tahar Lamri, che ha esordito il 28 maggio prima tappa del progetto pluriennale “Il grande teatro di Lido Adriano” (è il quartiere di Ravenna in cui Luigi detto Gigio, co-fondatore del “Teatro delle Albe”, è nato) anticipando, ed essendone in fondo stimolante anteprima, il Ravenna Festival 2023. Ma un'altra cosa ci insegna, o ci ricorda, questo spettacolo, ci insegna cioè che lo sguardo mistico, di cui è intessuto l'omonimo testo sapienziale persiano di Farid Ad Din Attar da cui è ispirato, è qualcosa che molto concretamente ci riguarda, essendo parte profonda ancorché colpevolmente dimenticata, per pigrizia o peggio ignavia culturale, di un più ampio e coerente sguardo sull'uomo e sull'Umanità.
Uno sguardo che non si disperde nelle nebbie dell'inconsistente anzi, essendo non necessario e profondamente anti-economico, attiene più di altri alla realtà del nostro esserci, per la sua capacità di comprenderci, assai meglio delle molte e oggi più diffuse modalità di descriverci ed essere descritti, nella nostra irriducibile umanità (termine che si alimenta sia come sentimento che come comunità).
La regia di Luigi Dadina infatti affonda quello sguardo nelle radici, antiche ma in parte ancora rintracciabili della sua comunità, ma anche in quelle nuovissime del suo essere multi-etnica, coloratissima e multi-culturale, in cui differenze e minori abilità, siano fisiche o psichiche, sono solo ulteriore ricchezza da donare.
Uno spettacolo dispiegato, come truppe pronte ad occupare e impegnare la nostra sensibilità insieme alla nostra 'ragione', tra il mare di Ravenna e il giardino del “CISIM”, il centro culturale multidisciplinare diventato l'anima di questo quartiere di periferia.
È la storia di un viaggio verso la scoperta di sé, di cui è protagonista un folto gruppo di uccelli guidati dall'Upupa, e gli uccelli sono la rappresentazione metaforica dell'umanità di sempre e perduta ed il suo 'soffio' guida, ricordiamo in proposito il filo che unisce Aristofane all'ultimo Pier Paolo Pasolini, un viaggio fatto di racconti e di sentimenti, anzi del racconto dei sentimenti chiusi in sette profonde valli da sorvolare (quelle della Ricerca, dell’Amore, della Comprensione, dell’Indipendenza, dell’Unità, dello Stupore e della Povertà) per ritrovare il proprio re (che si rivelerà il loro specchio).
Ma quello stesso specchio in cui i bambini-uccello si specchiano diventa lo specchio in cui tutti noi spettatori ci specchiamo, in una sorta di scambio sapienziale che infine ci coinvolge e di cui dunque diventiamo partecipi.
Uno spettacolo che è, infatti, intimamente corale (nel senso del 'Coro' e della 'coralità') con cento bambini, ragazzi e adulti che come stormi nel cielo riempiono e svuotano il giardino/palcoscenico volando in un caos organizzato, mi si perdoni la tautologia necessaria, come gli Storni nel cielo di Roma.
È una corrente tumultuosa che si riversa attorno a ben precisi gorghi, un rapper, una cantante non vedente, bravissimi musicisti dal vivo, e due, un uomo e una donna, attori narratori, circondata dalla suggestiva scenografia dell'artista visivo Nicola Montalbini che tutto avvolge e che a tutto, in un certo senso, dà nome.
Del resto il CISIM è già ricco di molte opere di importanti street artist italiani, quelli che da tempo cercano di liberare i nostri quartieri dalle loro bruttezze, trasfigurandole figurativamente, e inoltre qui uno tra i più famosi, Eron, creerà con la curatela di Alessandra Carini la sua prima opera d'arte pubblica a Ravenna.
E poi, punto quasi invisibile cui però tutti guardano, il regista che con pochi gesti guida questo volare condiviso che cerca libertà e felicità.
Un bello spettacolo, capace di valorizzare drammaturgicamente un testo profondamente lirico, liberandone potenzialità inaspettate, capace cioè di trasformare una intenzione poetica in un gesto concreto per chi partecipa e per chi assiste e per tutta la comunità, senza mortificare la profondità delle conoscenze in essa custodite.
Al centro CISIM di Lido Adriano a Ravenna dal 28 maggio al 2 giugno. Molto applaudito ma soprattutto capace di conservare anche dopo la forza degli affetti e dei sentimenti provocati e che si sono sciolti in abbracci ad un burbero ma commosso Gigio Dadina.
Mantiq At-Tayr - Il Verbo degli Uccelli direzione artistica Luigi Dadina, Lanfranco Moder Vicari regia Luigi Dadina drammaturgia Tahar Lamri direzione organizzativa e costumi Federica Francesca Vicari creazione scena e supervisione costumi Alessandra Carini, Nicola Montalbini ideazione costumi Sartoria Natascia Ferrini, Stefania Pelloni, Simona Tartaull composizione musiche e arrangiamenti Francesco Giampaoli, composizione testi dei brani musicali e direzione cori Lanfranco Moder Vicari coordinamento musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini narrazione e cura degli spazi scenici Massimiliano Benini con Lorenzo Carpinelli, in scena un centinaio di persone tra attori e musicisti.
Foto Nicola Baldazzi