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Haim è passato da un mondo di frustrazioni all’altro. In vita scriveva poesie che nessuno leggeva, svolgeva un lavoro che apprezzava solo lui ed era innamorato di una donna che lo lascia prima del matrimonio. Questa sofferenza amorosa

insopportabile lo spinge al suicidio ma nell’aldilà le cose non sembrano andare meglio: lavora in una pizzeria dai ritmi frenetici, ha un migliore amico bizzarro e va alla ricerca della donna che lo ha rifiutato che, per dopo il suicidio per l’amore infelice per un altro uomo, si trova anche lei da qualche parte in quella landa desolata.
Al Teatro Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14, fino al 5 novembre 2023) va in scena “Pizzeria Kamikaze” di Etgar Keret, il multipremiato autore israeliano che ha conquistato premi in mezzo mondo. 
Nell’ambito del Festival internazionale “Dalla tradizione ebraica all’energia di Tel Aviv” (16 ottobre – 20 dicembre 2023), rivive la scrittura contemporanea israeliana in scena per il pubblico italiano. E’ un’occasione imperdibile, il teatro sa intercettare lo spirito di un popolo e le sue contraddizioni, riesce ad abbozzare i tratti di mentalità attraverso le immagini interiori.
L’adattamento di Francesco Brandi (che ne è anche protagonista) declina all’italiana quello spirito grottesco del testo originale, certo grazie a una recitazione che ribalta i toni melodrammatici ma anche per una regia minimalista e simbolica.
Il terzetto di personaggi in scena è alle prese con i propri insoluti, dal rapporto con la mamma all’incapacità di saper vivere nel mondo rifugiandosi nei paradisi artificiali delle droghe. Tra kamikaze arabi e feste interminabili, miracoli minimi e bizzarrie oniriche, la vera missione di ciascuno sembra essere il Conosci te stesso e Accetta il tuo destino. Solo così tutto assume un senso diverso, cambia volto e realizza la metamorfosi: da fuga rispetto a se stessi a fusione completa con l’esistenza per come è, con le sue assurdità.
In filigrana si scorgono motivi centrali del temperamento ebraico contemporaneo, quella dimensione sospesa tra la vita e la morte, il presente e la sua negazione improvvisa. Un popolo abituato da sempre a fronteggiare la violenza e la morte ha imparato a esorcizzarla con la parola sarcastica che tutto illumina e tutto riduce ai minimi termini. La pièce diventa allora l’occasione per fissare un paradigma dell’umano d’oggidì, alle prese con le domande di sempre dell’esistenza e con le complicazioni che solo il comune senso del non-sense riesce a creare.