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Claudio Collovà è un regista che sa come si mette in scena un romanzo e che lavora su questo tipo di materiali con una autentica, necessaria, consapevolezza estetica. Anzi è giusto dire che, sotto questo profilo, il suo lavoro è magistrale e una

parte importante del suo pluridecennale percorso artistico sta lì a dimostrarlo: dall’amatissimo Joyce a Canetti, da D’Arrigo a Kafka e a Céline. Non si mette in scena un intero romanzo, fondamentalmente non si può, la narrazione non può diventare oggetto di mimesi teatrale, piuttosto si isola di essa un segmento qualitativamente importante e lo si restituisce come azione: un’unica azione pregna del senso ultimo dell’intera narrazione e, su questa azione, si costruisce lo spettacolo. Aristotele docet ed è un insegnamento ancor più luminoso oggi, nella realtà contemporanea quando ad aver preso il testimone della grande narrazione romanzesca è definitivamente il cinema. Raccontiamo questa volta di “Delitto e castigo. I tre interrogatori” costruito sull’inarrivabile capolavoro dostoevskjiano che ha debuttato in prima assoluta il 25 ottobre scorso nella Sala Streheler del Biondo a Palermo. In scena Sergio Basile (grandissimo nei panni del giudice Istruttore Porfirij Petrovi), Nicolas Zappa (Raskol’nikov) e Serena Barone (una figura di fantasma che appare e scompare nel corso dello spettacolo incarnando le figure della vecchia usuraia Alena Ivanovna, oggetto primario dell’odioso omicidio di Raskol’nikov, della sua sorellastra Lisaveta Ivanovna, uccisa da innocente essendo tornata a casa appena dopo l’uccisione di Alena e delle altre vittime innocenti uccise a milioni dall’irrazionale follia nazista e antisemita). Le scene e i costumi sono di Enzo Venezia, le musiche di Giuseppe Rizzo, le luci di Pietro Sperduti. Non è il caso qui di ricordare la storia raccontata nel capolavoro letterario, ma val la pena di capire come abbia lavorato il regista: l’azione selezionata è in questo caso il dialogo serrato tra il giovane Raskol’nikov, che ha commesso due omicidi al solo scopo di affermare la sua vitalistica e irrazionale volontà di potenza (una volontà di affermazione malata che lo colloca inevitabilmente al di fuori dei limiti imposti dalle leggi), e il giudice inquirente che, con consumato e raffinatissimo mestiere, più che interrogarlo lo sfida e lo lascia parlare fino a trovare cento indizi che sorreggano con sufficiente solidità la convinzione della colpevolezza di quell’uomo. Eppure, a guardar bene, benché la fragilità, esaltata e febbrile, di quel giovinastro sembri dichiarare molto più di quanto sia necessario per giungere ad un fondato giudizio di condanna, l’umanità del giudice sa bene che il rimorso è di per sé la pena più dura e non è vero che cento indizi fanno una prova, soprattutto quando in ballo ci sono la vita e la libertà di un uomo. Ed ecco il senso ultimo di questo spettacolo: l’azione dialogica dell’inquisire e il tormento che l’accompagna, il tormento del giudice, il doloroso vaglio delle considerazioni, degli indizi, financo delle prove che possono condurre alla definizione di una condanna. Ovviamente più procede questa azione, più l’inquisito si trova costretto a sua volta a fare i conti, anche in questo caso dialogicamente, con la realtà della sua miseria, della sua colpa, con la penosa assurdità delle motivazioni che hanno armato la sua mano. A fare i conti con la devastazione umana (culturale, politica) che il suo delitto ha provocato nel mondo e che nello spettacolo è sintetizzato dalla presenza, silenziosa ma di perturbante eloquenza, dei personaggi (femminili e infantili) incarnati da Serena Barone. Se questo è l’asse dello spettacolo non si può fare a meno di notare come la regia imposti la differenza nella resa scenica dei due attori: Basile interiorizza ogni pensiero del giudice inquirente e comunica con straordinaria e ferma solidità la tensione sottesa ad ogni parola e ad ogni gesto, Zappa, al contrario, incarna (con qualche eccesso) una fragilità febbrile e sostanzialmente infantile che molto concede all’esteriorità del gesto, del volto e della posa e poco a una riflessione che appare più somatizzata che interiorizzata. Un’ultima notazione va dedicata al pensiero che Collovà rivolge all’antisemitismo di Dostoevskij: è un fatto che giustamente oggi non si può trascurare ed è un fatto imperdonabile in uno scrittore di tale profondità intellettuale spirituale, ma è un fatto storico ed è anche una velenosa presenza culturale, radicata nella Russia e in gran parte dell’Europa di quel tempo. Collovà fa precedere il dispiegarsi del dramma dalla odiosa segnatura con la stella di Davide di una buona metà delle porte che compongono lo spazio scenico. È un gesto che il regista fa compiere al giudice inquirente, che è come dire allo Stato, e questo apre immensi territori di riflessione su quanto questo dramma voglia e possa raccontare dell’oceano di male in cui la storia europea è stata, e purtroppo è ancora, immersa. In replica a Napoli, dal 24 al 28 gennaio, nel Ridotto del Teatro Mercadante.

Delitto e castigo
Prima assoluta, Palermo, Teatro Biondo(Sala Strehler)  dal 25 ottobre al 5 novembre 2023. Dal romanzo di Fëdor Dostoevskij, adattamento e regia di Claudio Collovà. Scene e costumi di Enzo Venezia, suono e composizione di Giuseppe Rizzo, luci di Pietro Sperduti. Con Sergio Basile, Nicolas Zappa, Serena Barone. Produzione del Teatro Biondo Palermo.

Foto Rosellina Garbo