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Accade spesso che alcuni spettacoli teatrali possano rappresentare una guida importante che invoglia il pubblico medio e gli spettatori esperti ad approfondire certe tematiche e certi protagonisti della storia contemporanea, della letteratura o

dell’arte, accendendo quella curiosità che è nettare di conoscenza. In questi casi, quando il pubblico si ferma e si sofferma sull’uscio del teatro, aspettando il drammaturgo, gli attori e qualsiasi membro della compagnia o rappresentante del lavoro scenico, la vittoria è palese: se l’arte conduce alla curiosità e successivamente all’approfondimento culturale, allo scandagliamento dei meandri storici, allora l’obiettivo è raggiunto. Il Teatro Nest di Napoli, Napoli Teatro Est, è il luogo che ha dato vita a questo momento simbiotico, in cui spettatori, critici, pubblico di abbonati, attori e registi giunti appositamente per vedere lo spettacolo, hanno conversato a lungo con il drammaturgo Fabio Pisano e con la compagnia siciliana Carullo-Minasi.
Ritrovare una delle compagnie più importanti della drammaturgia contemporanea meridionale proprio a Napoli, in un lavoro che vede la scrittura e la rielaborazione drammaturgica firmata dall’astro nascente, il campano Fabio Pisano, conduce ad osservazioni importanti sui processi teatrali in atto negli ultimi anni. Commistioni di stili e attualità, drammaturgia meridionale dalle particolari caratterizzazioni e sfaccettature recitative, sono tutti elementi che si rimescolano in progetti importanti, ma a volte poco conosciuti. In scena per soli due giorni, il 4 e 5 novembre, questo spettacolo, prodotto da Carullo-Minasi e da Sciara Progetti Teatro, avrebbe un seguito importante se analizzato attraverso un punto di vista assolutamente storico, sebbene, in effetti, non sia del tutto scevro da ogni caratterizzazione politica. I riferimenti sono palesi, la denuncia anche, la ricerca potente.
Il titolo dello spettacolo riprende il nome dal settimanale anarchico UMANITÀ NOVA, ancora oggi attivo, in versione digitale, fondato nel 1920. Parliamo, dunque, di un concetto di anarchia che riemerge nel corso della storia contemporanea italiana, sebbene attraverso motivazioni e obiettivi differenti, attraverso protagonisti animati da spinte e da fuochi diversi; il giornale, fondato dal campano Errico Malatesta, attivo agli inizi del Novecento, durante la fase della Rivoluzione russa del 1917,  si propone, ancora oggi, con queste parole: «Sebbene durante il corso della sua esistenza abbia dovuto continuamente scontrarsi con innumerevoli tentativi di soffocarne la voce, continua dalla caduta del fascismo (1945) ad uscire ininterrottamente, in maniera completamente autofinanziata e grazie al sostegno politico di quanti vi hanno trovato un mezzo coerente con gli obiettivi e le pratiche antistatali ed anticapitalistiche di emancipazione e di trasformazione rivoluzionaria che via via si sono prodotti nella società e nei momenti di lotta che ancora oggi, in epoca di globalizzazione e di restaurazione autoritaria, li perseguono».
Umanità nova è anche un monito che diventa il filo conduttore dell’intero racconto scenico, basato sulla ricostruzione storico-diaristica di un noto anarchico del meridione, Angelo Casile, interpretato in scena da Giuseppe Carullo. I moti di Reggio Calabria si sono svolti tra il 1970 e il 1971, ed è interessante comprendere come siano partiti da manifestazioni legate profondamente alla terra calabrese, deviate poi attraverso posizioni politiche e presenze contrastanti, fino all’insediamento degli Anarchici della Baracca, di cui faceva parte lo stesso Casile e altri giovani.
La drammaturgia sceglie di riportare in scena il racconto in prima persona, attraverso le parole dello stesso Casile che descrive la nascita e l’evoluzione delle idee di questi giovani, percorsi che dovrebbero essere analizzati attraverso un occhio storico-artistico lontano da ogni giudizio politico. L’attore Giuseppe Carullo, diretto nella regia dalla compagna di vita e di palcoscenico Cristiana Minasi, incarna una sorta di ingenuità combattiva che, in effetti, caratterizzava, in quegli anni, i giovani di tutti gli orientamenti. Il balbettare o l’interruzione delle battute non completate, ma riprese ciclicamente - scelte ed effetti connaturati in alcuni esempi della drammaturgia firmata da Pisano e assunti naturalmente dallo stesso attore - rilevano chiaramente la confusione nel pensiero e nell’azione di questo giovane e dei suoi compagni, i quali si imbarcano in un viaggio terribile ed eroico, scontrandosi e mescolandosi con il mondo politico italiano e con quello rivoluzionario dei gruppi più violenti. L’obiettivo fondamentale e iniziale sembrava seguire una rivalutazione, una riscoperta e un coraggioso riscatto dei calabresi e della terra di Calabria, contro i padroni usurpatori e capitalisti che promettevano e sfruttavano il Sud Italia. Se da un piccolo garage, da un luogo della quotidianità, da una sede improvvisata, alcuni giovani si ergono e si proclamano “anarchici” in un momento storico-politico che vede l’Italia invischiata nelle note e terribili vicende legate ad attentati e a rapimenti, possiamo solo ritenere questa scelta eroica, immatura e incosciente, ma per questo motivo forse efficace. 
Durante l’intero spettacolo si percepisce lo sgomento che Casile prova nel rendersi conto di ciò che si muove attorno a lui, partendo da un microcosmo familiare che fa sorridere lo spettatore quando si ascolta il racconto del giovane che si dichiara anarchico al padre. L’indecisione recitativa che Carullo persegue, soprattutto all’inizio dello spettacolo, per poi colorarla di incredulità, per concludere con coraggiosa rassegnazione, caratterizza un personaggio che per la maggior parte degli spettatori non rappresenta un’immagine nota. In verità ognuno di noi lo immagina attraverso le parole dell’attore, attraverso i suoni e le musiche attivate in scena dallo stesso Carullo, attraverso la divertente e denigratoria caratterizzazione del Fascista di paese, profondamente ignorante e bigotto, attraverso i semplici oggetti di scena, disegnati da Cinzia Muscolino (attrice, scenografa e compagna di un altro importante drammaturgo siciliano Tino Caspanello), indispensabili al racconto. I cartelli, utilizzati dall’attore e posti sul palcoscenico, rappresentano simboli, parole chiave, concetti che rimangono visivamente impressi nel ricordo dello spettatore, il quale segue attentamente, coinvolto fino alla fine in questa storia. Il pubblico, infatti, risponde con lunghissimi applausi conclusivi, dichiarando, in alcuni casi, il ricordo delle vicende e dei periodi descritti in scena e vissuti realmente dagli italiani che erano giovani in quell’epoca. 
I cinque calabresi muoiono improvvisamente, a causa di un incidente stradale, mentre si recano presso la redazione della rivista “Umanità Nova”: non si chiariranno mai le cause reali della loro morte, ma si comprenderà, con il passare del tempo, che avrebbero svelato rivelazioni pericolose e inaspettate.
Dopo la visione dello spettacolo, emerge  naturalmente l’idea anche di una probabile diffusione scolastica di questo spettacolo, la cui proposta incontra, spesso, inevitabili reticenze, silenzi e rifiuti. Cronaca, dunque, di una mancata rivoluzione…culturale.

UMANITÀ NOVA
CRONACA DI UNA MANCATA RIVOLUZIONE
Nest Napoli, 4-5- novembre 2023
con Giuseppe Carullo
regia Cristiana Minasi
drammaturgia Fabio Pisano
disegno Luci Renzo Di Chio
costumi Letteria Pispisa
elementi di scena Cinzia Muscolino
grafica Manuela Caruso
consulenza musicale Alessandro Calzavara
produzione Carullo-Minasi e Sciara Progetti Teatro
collaborazione Fabio Cuzzola, Giovanna La Maestra, Massimo Ortalli, Roberto Zorn Bonaventura
Spettacolo finalista Premio Dante Cappelletti 2023