Era il 1917 quando Luigi Pirandello scrisse questa pièce dall’alto tasso di riflessione esistenziale. In scena al Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14 fino al 13 dicembre 2023), racconta di una cittadina di provincia in cui lo sguardo pettegolo e
piccolo borghese della gente si interroga sul nuovo segretario della Prefettura locale. Chi è sua moglie, sempre tenuta chiusa in casa? E’ la figlia della Signora Frola, la suocera (una bravissima Milena Vukotic)? Oppure quella donna è morta tra le macerie del terremoto della Marsica e la moglie del segretario è un’altra persona, come egli sostiene? Così è, se vi pare, rivela la diretta interessata! Ognuno ha la sua verità, che è vera tanto quella degli altri. Relativismo gnoseologico? Tutt’altro, solo lucida comprensione dei tortuosi meccanismi di comprensione del mondo, che deformano la realtà sulla base della nostra percezione, della piccola grande follia straniante che campeggia dentro ognuno di noi.
Pirandello sa bene cosa scrive, sono gli anni in cui la gelosia spasmodica della moglie si trasforma in paranoia, al punto da spingere l’autore a ricoverarla in modo permanente nel 1919 in un ospedale psichiatrico. Quel delirio narra il mondo con una sua verità, proprio come in questo testo teatrale la gente osserva giudicante, in una sorta di moderno coro della tragedia greca, questa volta priva della sua funzione emotiva, piuttosto portatrice della piccolezza della doxa di Parmenide.
Uno degli aspetti di gran valore di questa versione del capolavoro pirandelliano risiede nella scelta registica di Geppy Gleijeses. Il videoartist Michelangelo Bastiani crea ologrammi tridimensionali alti 50 centimetri, i personaggi della commedia, che aprono la prima parte dello spettacolo inondando il pubblico di pettegolezzi sul nuovo arrivato in paese. Personaggi piccini piccini come le loro chiacchiere, ossessionati dalla ricerca della verità attraverso fatti concreti che risultano però evanescente proprio come lo sono loro stessi.
Questa tipologia di soluzione espressiva comincia a filtrare nel linguaggio teatrale sempre più spesso per le sue spiccate potenzialità di impatto comunicativo. Il teatro ha fatto proprio da oltre un decennio le proiezioni audio-video, ormai diventate imprescindibili anche nella progettazione della scenotecnica teatrale. L’ologramma è l’evoluzione naturale di questo percorso, al contempo più reale e più evanescente dell’immagine video su schermo.
In termini espressivi l’ologramma sa apportare valore narrativo, coglie quel senso di realtà ora precaria ora fluida che il sentire moderno ha ben colto. A inizio secolo fu lo specchio a porre il tema, ben colto dal Surrealismo bretoniano che nasceva proprio negli anni in cui Pirandello scriveva questo testo. Quello specchio narrava la deformazione, il rimando all’infinito dei punti di vista e la confusione straniante tra realtà e immagine, ben ripresi anche nell’allestimento di Gleijeses come a mostrare da dove eravamo partiti un secolo fa.