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Una presenza difficile da eludere e che, non tanto paradossalmente, dopo la morte risulta se possibile ancora più ingombrante. La madre è mancata da pochi giorni – o forse da poche ore – e la figlia, Matilde, appare già sopraffatta: distesa

a terra, il volto inizialmente nascosto fra le mani, refrattaria e incredula, non tanto di fronte alla morte, quanto rispetto alla propria nuova condizione di “orfana”. Dopo Una riga nera al piano di sopra, in cui la propria condizione raminga e incline all’abbandono, più o meno volontario, dei propri assai provvisori domicili, s’intrecciava alla rievocazione della tragedia dell’alluvione nel Polesine che tante persone obbligò ad abbandonare le proprie case, l’attrice Matilde Vigna prosegue il proprio percorso di autrice con questa dolceamara commedia da camera – i due testi sono stati ora pubblicati, con il titolo complessivo Sopravviverci. Due pezzi sulla perdita, nella collana Linea di ERT / Teatro Nazionale e Luca Sossella editore. 
Una figlia, tailleur giallo canarino e una malcelata provvisorietà esistenziale, dialoga con la madre, elegantissima in blu elettrico, tacchi e borsetta, che, come probabilmente è accaduto durante tutta la vita, le dice cosa fare: richiamare l’ospedale, le pompe funebri e il notaio ma anche occuparsi maggiormente di sé – l’abbigliamento, l’alimentazione, la cura del proprio aspetto fisico – e immaginare di crearsi una famiglia… Matilde e Daniela abitano insieme il palcoscenico, battibeccando ora con bonaria ironia, ora con reale esasperazione reciproca, sentimenti e atteggiamenti entrambi precipitati di quel legame tanto conflittuale quanto tenace che unisce una figlia alla propria madre – e viceversa. La drammaturgia, pur conservando una serrata e disinvolta fluidità e dosando con saggia acutezza riso e malinconia, esplora con implacabile bisturi quell’atavico rapporto, sottolineandone le trasformazioni dettate dalle peculiarità della società contemporanea che, proclamando la sicura autonomia e autosufficienza delle figlie, ne soffoca e colpevolizza dubbi e fragilità, condannandole così a un persistente sentimento di inadeguatezza. Matilde ha un lavoro che, pur nell’incertezza intrinseca dell’assai comune status di “Partita Iva”, la soddisfa ma, a trentasette anni, sa che non potrà diventare madre e, dunque, non potrà compensare la propria “orfanitudine”: l’abbandono, in questo caso subito e non agito come avveniva in Una riga nera al piano di sopra, è motivo di immedicabile sofferenza. La madre è ormai volata fra le stelle – Piperno indossa una sorta di tuta spaziale, casco e candidi Moon Boot – e a Matilde non resta che riconoscere la propria nuova condizione esistenziale, quella di “ultima figlia”, orfana che non ha saputo e non saprà avere un erede. Un senso della fine, di irrimediabile estinzione che, nel monologo che conclude lo spettacolo, è riconosciuto e accolto da colei che resta ancora sulla Terra con disincantata – ma non cinica – fatalità, testimonianza di una maturità – ripeness is all, come diceva Shakespeare – alfine raggiunta.   
Chi resta è una commedia che fa ridere e piangere, riflettere ed emozionare: la seconda, convincente tappa di un percorso artistico/drammaturgico che siamo certi proseguirà con concreto successo.  

Ideazione e regia di Matilde Vigna e Anna Zanetti. Luci di Umberto Camponeschi. Video di Federico Meneghini. Progetto sonoro di Alessio Foglia. Musiche originali di spallarossa. Con Daniela Piperno, Matilde Vigna. Prod: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale; in collaborazione con La Corte Ospitale; con il sostegno del MiC e di SIAE nell’ambito del programma “Per Chi Crea”.

Visto al Teatro delle Moline di Bologna l’8 dicembre 2023.

Foto di Luca Del Pia