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Cominciamo dalla fine. Si conclude il 4 febbraio la rassegna-evento che ci ha accompagnati anche l’anno scorso e che Casa del Contemporaneo ha inserito anche quest’anno all’interno della Stagione che si sta svolgendo presso Sala Assoli, storico

luogo teatrale dei Quartieri Spagnoli napoletani, caro a Enzo Moscato, Annibale Ruccello, Antonio Neiwiller, a Mario Martone e a Toni Servillo, per citarne alcuni. L’evento dal titolo “We Love Enzo” debutta il 12 gennaio, prevedendo la presenza del drammaturgo e attore Enzo Moscato che, invece, ci ha lasciati il giorno successivo. Il pubblico, gli artisti e gli amici colpiti da questa improvvisa assenza, hanno comunque gradito e applaudito la scelta di continuare nella messinscena degli spettacoli e dei testi firmati dal drammaturgo napoletano, affollando costantemente il teatro: in scena Isa Danieli, con Tempo che fu di Scioscia, dal 12 al 14 gennaio e il film Luparella di Giuseppe Bertolucci, Cristina Donadio, Vincenza Modica e Enza Di Blasio con Co’Stell’Azioni, in scena dal 18 al 21 gennaio, Imma Villa, insieme alle giovani Mariachiara Falcone, Valeria Frallicciardi e Francesca Morgante,  in scena con Trianon, dal 25 al 28 gennaio.
Cominciamo dalla fine, perché l’ultimo spettacolo in scena è proprio KINDER-TRAUM SEMINAR, in Sala Assoli dal 1 al 4 febbraio, con Cristina Donadio, Giuseppe Affinito, Vincenza Modica e lo stesso Enzo Moscato, la cui assenza ha, inevitabilmente, richiesto una rivisitazione del testo, come ha confermato lo stesso Giuseppe Affinito, allievo e portavoce degli insegnamenti del drammaturgo. In scena anche la piccola Isabella Mosca Lamounier, figlia d’arte e interprete della parte che in passato era stata affidata al piccolo Giuseppe Affinito.
Cominciamo dalla fine, perché purtroppo è quello che ci ha lasciato Moscato, per tornare indietro e per recuperare tutto ciò che ha costruito, scritto, messo in scena e creato nel corso della sua lunga carriera; cominciamo dalla Fine, perché questa parola ritorna, incessantemente, all’interno dello spettacolo e del testo dedicato all’Olocausto, il cui sottotitolo riporta «Studio scenico su una pensiero-parola dedicato alla Memoria Collettiva dell’Olocausto». 
La scena è costruita attraverso una quarta parete traforata, una struttura in corda dorata, un filtro lacerato che ci fa vedere e intravedere quanto è accaduto nel passato, ma non essendo fitta o rigida, mette in comunicazione ciò che avviene sul palcoscenico con la realtà vissuta dagli spettatori e gli eventi storici a cui assistiamo oggi. Le scenografie e le immagini sceniche riportano la firma di un grande artista, Mimmo Paladino, opera d’arte nell’opera d’arte, e le proiezioni sono di Fabio Calvetti.
Cristina Donadio, attrice di esperienza, legata a questo teatro e alla storia del teatro napoletano contemporaneo, è portatrice di parola, di essenza, di gestualità moscatiana, dimostrando, ancora una volta, che gli attori sono contenitori imprescindibili della parola del drammaturgo, soprattutto da quando il teatro italiano ha cominciato a lavorare attraverso la fusione e la sovrapposizione delle figure di autore-attore-regista. Gli attori, oltre ai testi, costituiscono un vero e proprio lascito testamentario, soprattutto nel caso di testi complessi e articolati, ricchissimi di citazioni, come quelli di Enzo Moscato. Questo spettacolo dimostra, sebbene con grande difficoltà ed enorme studio, come e quanto è possibile riportare in scena Enzo Moscato. 
L’intero spettacolo, non solo per l’argomento trattato, ma soprattutto per la splendida interpretazione di tutti gli attori e per l’energia sprigionatasi sul palco, risulta commovente, intenso, correttamente ridotto o rimaneggiato, perfettamente in sintonia con un pubblico contemporaneo, adatto anche ad una platea di studenti. Avere la fortuna di leggere il copione, la cui copia del 2003 è gelosamente conservata da una docente e amica, che a lungo ha accolto Enzo Moscato e ne ha condiviso gioie e dolori del suo lavoro drammaturgico, oltre che privati, significa accedere ad una chiave interpretativa più profonda, che a volte, viene preclusa al pubblico. La prof.ssa Antonia Lezza, Presidente e fondatrice del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo conserva un archivio prezioso, a cui pochi studiosi hanno la possibilità di accedere. Leggere il copione scritto a macchina, sebbene in copia, notare gli appunti, le modifiche, i commenti dello stesso Moscato, riportati attraverso la sua scrittura, apre le porte ad una percezione profonda. Pertanto, è bene ribadire che questo discorso deve necessariamente cominciare dalla fine, da quel ragionamento che il drammaturgo riporta costantemente nel suo spettacolo, nel suo testo, e in numerose sue opere, ossia il ragionamento sulla morte. Il riferimento all’Olocausto, in questo spettacolo, è permeato attraverso il filtro dei bambini, i loro occhi, ma Moscato riflette incessantemente su come i bambini avessero percepito il senso della tragedia, come conducevano le loro giornate, cosa sognavano e cosa pensavano: se riflettiamo su questo punto di vista, la tragedia sembra innalzarsi a livelli di enorme dolore e, inevitabilmente, ci trascina, sebbene tendiamo a rifiutare il pensiero, verso le immagini odierne, agli occhi degli stessi bambini che muoiono in luoghi di guerra.
All’interno di questo spettacolo e di questo testo, Moscato riporta citazioni tratte da Janusz Korczak, Tadeusz Kantor, Etty Hillesum, Primo Levi, Elie Wiesel, Gitta Sereny, Tzvetan Todorov, Mary Berg, Bruno Bettelheim, Robert Antelme, Edith Stein, Paul Celan, Marina Cvetaeva, dimostrando costantemente il suo approccio da studioso e una scrittura che parte da una attenta documentazione e da una rielaborazione del suo enorme bagaglio culturale. Lo spettacolo si muove attraverso una scena oscura o in penombra, illuminata da candele poste su una struttura metallica, quasi un’edicola votiva, un albero di Natale dalle fattezze funeree. Sulla sinistra, quasi sul proscenio, un cappio, una ciotola con petali rossi, che ci ricordano tanti spettacoli moscatiani, il primo tra tutti “Compleanno” e la sua dedica ad Annibale Ruccello dopo la sua morte. Cristina Donadio, in alcune scene, utilizza un leggìo, proprio come era solito fare l’attore-drammaturgo, attraverso una commistione di lingue, italiano, tedesco e napoletano, attraverso giochi di parole, suoni e nenie, ripetizioni e preghiere, ossessive in alcuni momenti, come a sottolineare suoni e significati. Lo spettacolo si sviluppa, proprio durante le prime scene, attraverso un detto popolare napoletano antico, che è stato modificato in occasione delle Quattro Giornate di Napoli del 1943:
«Comme barbaréa,
accussì nataléa.
Comme tetschéa
Accussì se massacrèa».
Il detto popolare sta ad indicare il clima del giorno di Santa Barbara: se la giornata è bella durante il 4 dicembre, lo sarà anche a Natale. Allo stesso modo se la giornata è piovosa o fredda. Si inseriscono i due versi legati alle Quattro Giornate: come agiscono i Tedeschi, così avviene il massacro.
Questo esempio, ripetuto ossessivamente dalla splendida attrice Vincenza Modica, viene sussurrato in scena, mormorato, come se la vittima, questa donna-madre dalle fattezze dolci e terribili insieme, viva una vera e propria possessione, tessuta nelle viscere di queste vittime. Esse sono ebree, dalla madre, alla piccola in scena, fino al giovane uomo, tutti poeticamente consapevoli della loro fine, compostamente dediti all’osservazione e alla riflessione della loro condizione, del mondo, della crudeltà, della Storia. Cristina Donadio interpreta il terrore rappresentato dalla violenza tedesca, ma appare anche, così come voleva Moscato, nella sua fragilità e follia, nella sua determinazione ridicola, nel suo isolamento, fumando e bevendo davanti a tutte le vittime che rimangono impresse nella sua memoria. 
Una lunga scena, riportata anche nel copione, è descritta attraverso le parole di Moscato e proprio all’interno di queste battute il drammaturgo riporta il concetto di Fine, questa ossessione che lo perseguita da sempre, che lo illumina, che lo affascina e lo conduce alla poesia e alla scrittura. Fine e Notte si identificano, in un gioco che non è mai del tutto catastrofico, ma appare, così come anche in altri testi e spettacoli, affascinante e doloroso insieme.
Lo spettacolo è costruito attraverso pezzi che, come nella struttura della poesia sinfonica, sembrano molto diversi tra loro, per la natura, in questo caso, drammaturgica, letteraria, poetica o filosofica, quindi come i movimenti in musica che hanno, però, un necessario filo conduttore, testuale o strutturale, ben solido. Moscato inserisce riferimenti alla letteratura tedesca, alle canzoni e alle preghiere ebraiche, alle sue vicende e ai ricordi personali, alla riflessione sul mondo, su Dio, sulla fine e sulla morte, di stampo filosofico.
Il copione ha un’appendice dal titolo “Strano intermezzo personale…” che ovviamente non è visibile in scena; una sorta di “Autore a chi legge” goldoniano in cui, a differenza degli aspetti tecnici, riviviamo il percorso creativo, personale e culturale, che Moscato affronta nella costruzione di questo spettacolo. Sottolinea il suo amore per Elie Wiesel, che lo ha condotto a distaccarsi dal primo approccio giovanile con l’argomento, cioè la lettura del Diario di Anna Frank; descrive il suo carteggio immaginario con un’amica-diario; racconta nei minimi particolari la cartolina ricevuta in dono, attraverso cui scopriamo un grande artista, Ernest Pignon-Ernest, che ha realizzato particolari esempi di Street Art, anche all’interno dei vicoli napoletani, (in foto). Anche in questa cartolina, che riporta una foto di Alain Volut, Moscato ritrova il contrasto violento tra la Morte e la Vita, in un connubio inscindibile tra l’opera di Pignon, raffigurata su un muro, e la vita dei vicoli di Napoli.
L’appendice non si presenta mai sotto forma di appunti o di riflessioni deliranti di artista alle prese con un progetto: ogni pagina ha un peso culturale, una sua natura ben delineata. L’insieme crea una riflessione importante che subisce, poi, un’ulteriore evoluzione, ossia quella scenica.
La Compagnia Teatrale Enzo Moscato porta avanti un discorso attento e complesso, si carica di un’enorme responsabilità e svolge operazioni attente e guidate, da anni, dallo stesso drammaturgo; questo darà la possibilità, anche in futuro, di rivedere Moscato in scena. Noi lo abbiamo scorto, nella penombra, bianchissimo e dalla risata “da gatto”, come ama descriverlo il suo allievo Giuseppe Affinito. Lunghissimi applausi e profonda commozione. Moscato, fortunatamente, è ancora qui.

Foto di scena Pino Miraglia
Foto di Alain Volut tratta da www.exibart.com

KINDER-TRAUM SEMINAR
SALA ASSOLI Napoli
1-4 febbraio 2024

Kinder – Traum Seminar
(Seminario sui Sogni dei Bambini)
un pensiero-parola dedicato alla Memoria Collettiva dell’Olocausto
di Enzo Moscato
immagini sceniche Mimmo Paladino
con Cristina Donadio, Vincenza Modica, Giuseppe Affinito
e la piccola Isabella Mosca Lamounier
organizzazione Claudio Affinito
proiezioni Fabio Calvetti
luci e audio Simone Picardi e Sebastiano Cautiero
produzione Compagnia Teatrale Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo