La cosa più intrigante di “Processo Galileo”, spettacolo a più mani e più voci, sono cinque tra drammaturghi, dramaturg e registi, è la capacità, consapevole o in parte inconsapevole che sia, di insinuare un dubbio, il dubbio inquietante che alla fin
fine, vedendone gli esiti nell'oggi tra Hiròshima, tecnicismo, macchinismo e infine A.I., la Sacra Inquisizione non avesse proprio tutti i torti.
Quasi certamente consci (erano probabilmente oscurantisti ma non intellettualmente sprovveduti) della verità delle scoperte di Galileo, Inquisitore e giudici sembrarono tentare un'ultima difesa dell'umanesimo(divino) dell'uomo, o almeno così credevano, rispetto allo spossessamento intravisto nel cambio di prospettiva che la scienza avviava allora e imporrà poi.
Questo rende la drammaturgia, dal punto di vista storico, sociale e soprattutto 'politico', assai interessante e analitica laddove con una indubbia coerenza mette a confronto il tempo e lo spazio, che si piegano, di quella evoluzione, che ora paradossalmente, con la fisica quantistica, sorta di moderna e ribaltata metafisica, volge il suo sguardo stupito alla dissoluzione della realtà fisica e psicologica, resa già da Einstein 'relativa', proprio a seguito di un eccesso smanioso di realtà o meglio di verità.
Lo squarcio che il cannocchiale di Galileo Galileo ha aperto nei cieli immobili diventa dunque, nel suo raccontarsi drammaturgico, la scissione tra l'umanità dello spirito, dell'anima e del sentimento, e l'umanità della mente/cervello e del corpo che, mortale e fragile, cerca la sua eternità nella macchina.
Mondi che da allora procederanno distinti e paralleli in una sorta di compromesso conflittuale che la declinazione attuale del potere dominante sembra in procinto di rompere definitivamente e anche tragicamente.
In questo sordo conflitto, che nel riepilogo delle sconfitte dell'umanità da Ned Ludd al cambiamento climatico appare in questo lavoro del tutto evidente, l'andare separato ma parallelo di umanità irriducibile e di perfezione senza sentimento della tecnica si divarica in parabole rispettivamente discendenti e ascendenti.
E proprio questo è in un certo senso anche il limite della drammaturgia nel suo complesso che nello sforzo razionale di rendere 'evidente' tutto, fors'anche nella necessità intrinseca di 'accordare' tra loro le diverse voci che la costruiscono, talora appare fredda per un debordare, direbbero i francesi, di esprit de finesse.
Come se in qualche momento perdesse il contatto con il fondo sentimentale, con il dolore del vivere umano che è oltre le cose, che è come hanno mostrato Schopenhauer e Nietzsche custodito nel sentire dionisiaco che frantuma l'identità sociale per liberare l'identità umana.
Se questa fosse l'intenzione è possibile, ma è anche causa di lontananza, motivo del non sentire 'proprio' e dentro, prima e dopo il capire, quel narrare che appare a volte didattico senza quell'afflato pienamente educativo che ci interessava nel Galileo di Bertolt Brecht.
Uno spettacolo comunque valido anche perché, nel suo contenuto e nella sua sintassi, inquietantemente problematico.
La scena è una specie di buco nero in cui precipita anche la luce dell'umano, al cui fondo si manifestano quasi in lotta con sé stessi i singoli personaggi inesorabilmente attratti, ma non vinti, da quella inarrestabile gravità.
Buona la recitazione, anche nei più giovani ma qualche dissonanza armonica nella regia si può peraltro leggere nella parentesi bucolica e sentimentalistica più che sentimentale delle ambientazioni in un, non molto credibile, orto.
Al teatro Gustavo Modena, ospite della stagione del Teatro Nazionale di Genova, dal 14 al 17 febbraio. Una buona partecipazione e applausi finali.
Processo Galileo di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi, dramaturg Simona Gonella, regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici, con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano e con Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini, scene Daniele Spanò, costumi Margherita Baldoni, progetto sonoro GUP Alcaro, disegno luci Pasquale Mari, produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura, Emilia-Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale.
Foto Masiar Pasquali