Dopo aver attraversato, esplorato e reinterpretato Platonov, Liv Ferracchiati torna a dialogare, problematicamente e approfonditamente, con Čechov, affrontandone quello struggente condensato di “orizzontalità” russa e precisissima e
desolata analisi dell’animo umano che è il Gabbiano. L’esito è una scrittura originale eppure innegabilmente cechoviana, in cui l’autore e regista riesce a sganciarsi definitivamente dalla “gabbia” dell’auto-finzione, tracciando uno schizzo dettagliato ed empatico di un’umanità incapace di essere felice. Forse anche grazie alla scelta di non calcare la scena come interprete ma di concentrarsi su scrittura e regia, Ferracchiati costruisce un serrato ma mai ansioso spettacolo-riflessione sul male di vivere contemporaneo, accostando Čechov a uno scrittore solo apparentemente lontano dal russo, quel David Foster Wallace da cui non soltanto è tratto il titolo, ma a cui si rimanda costantemente e apertamente, anche dal punto di vista visivo – la fascia attorno al capo di Kostja diventato il Figlio, il cui abbigliamento grunge ricorda assai quello tipico dell’autore statunitense. La ricerca di rimandi e fili – psicologici, umanistici, di sensibilità – fra i due scrittori, a cui si aggiunge, di nuovo esplicitamente citato, Guy de Maupassant, risponde a un evidente sforzo di universalizzazione dei sentimenti e delle dinamiche descritte: ecco, allora, che i nomi propri dei protagonisti del dramma cechoviano sono sostituiti da indicazioni neutre quali, appunto, il Figlio (Giovanni Cannata), la Madre (Laura Marinoni), lo Zio (Nicola Pannelli), il Romanziere (Roberto Latini), il Dottore (Marco Quaglia), la Vicina (Camilla Semino Favro) e il Maestro (Cristian Zandonella); mentre soltanto il personaggio di Nina (Petra Valentini) mantiene la propria specificità, divenendo palpitante e schizofrenica incarnazione della vocazione artistica. Ferracchiati innesta così sul canovaccio del Gabbiano dialoghi, suggestioni, riferimenti all’attualità – il televisore su cui il Figlio guarda il calcio, il pc, l’automobile invece della carrozza – ora conservando lacerti di conversazioni tratte dall’originale, ora spostando scene oppure interlocutori in intensi scambi a due. Battute cechoviane riformulate oppure inserire quasi causalmente all’interno del copione: non si tratta, tuttavia, di facili ammiccamenti al pubblico di rigida fede cechoviana né tantomeno di patenti di auto-legittimazione letteraria, quanto di ben distinguibili orme del tragitto percorso da Ferracchiati all’interno del Gabbiano, quasi la sinopia di un lavoro schizzato con cura a partire dal dramma dell’autore russo. Creazione originale benché edificata su solide fondamenta letterarie, dunque, e capace di trasformare in protagonista – muto benché assai mutevole – l’elemento caratterizzante il paesaggio descritto da Čechov, quel lago sulle cui rive si trova l’abitazione dei protagonisti. L’acqua – sul fondo dello spazio scenico del Teatro Studio Melato, incantanti giochi di luce sulla cangiante superficie del lago – è così visiva ed eclatante metafora di un’esistenza imprendibile e indefinibile, così come lo sono le identità stesse dei personaggi e i loro sentimenti, ognora troppo generosamente malriposti. Ferracchiati costruisce così un apologo empatico e nondimeno lineare, privo di retorici e inopportuni picchi di pathos; una discesa verso il progressivo e in fondo volontario annullamento di sé che, benché con velocità e consapevolezze differenti, compiono tutti i personaggi ai quali, nel bianco agghiacciante del finale, non rimane neppure più la rasserenante consolazione di vedere la propria immagine trasfigurata dall’acqua.
Uno spettacolo di Liv Ferracchiati, liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov. Regia di Liv Ferracchiati. Scene di Giuseppe Stellato. Costumi di Gianluca Sbicca. Luci di Emiliano Austeri. Suoni di spallarossa. Video di Alessandro Papa. Con Giovanni Cannata, Roberto Latini, Laura Marinoni, Nicola Pannelli, Marco Quaglia, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Cristian Zandonella. Prod.: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Visto al Teatro Studio Melato il 18 febbraio 2024
Foto di Masiar Pasquali