Viviamo un tempo in cui, tra audaci esperimenti di A.I., commissioni etiche(?) all'uopo convocate e microchip impiantanti nel cervello, sembra vicina a realizzarsi una profezia/incubo che ha attraversato nella Filosofia e nella più avveduta fantascienza,
dal biblico Golem al mostro di Frankenstein, dai replicanti di Philip K. Dick alle macchine schiavizzanti (metafora forse del capitalismo che avanza) di “Matrix” e di “Terminator”, la letteratura mondiale.
“Uncanny Valley”, spettacolo del collettivo tedesco “Rimini Protokol”, introduce però un nuovo inquietante dubbio nel contesto della odierna mutazione del pensiero unico dominante: è la macchina destinata a diventare umano o, al contrario, è l'umano destinato a diventare, per essere meglio controllato, macchina?
Vengono alla mente immediatamente al riguardo, per restare alle suggestioni soprattutto cinematografiche, il bellissimo “Metropolis” di Fritz Lang, del 1927, con la sua angosciante sfilata di operai macchinizzati all'uscita della fabbrica globale, o anche il comico/grottesco Charlie Chaplin (socialista) di “Tempi Moderni”, del 1936, con il lavoratore Charlot trasformato direttamente in ingranaggio produttivo di una macchina, anche se per fortuna ancora capace di incepparla con l'arte, in un disperato richiamo a Ludd e a Marx.
Ma prima e forse ispiratori di questi, ricordiamo i racconti 'perturbanti' del tedesco Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, autore tra l'altro de “I sosia” e soprattutto del racconto “Luomo della Sabbia” che ha ispirato il famosisimo balletto “Coppelia” e che ben esprime l'angoscia verso ciò che creiamo per il nostro piacere ma che poi ci sfugge di mano, ed infine il freudiano concetto di “Unheimliche” che, anche a quel racconto riferendosi, riassume, ragionando proprio sul “doppio”, il disagio che consegue dall'emergere proiettivo di un rimosso, di ciò che ci è estraneo ed insieme segretamente familiare.
È, questo, un interessante esperimento teatrale destinato forse nella sua contingenza a rimanere tale, in cui il drammaturgo tedesco Thomas Melle immagina, per evitare l'umano disagio del contatto con gli altri, in lui accentuato, ma in fondo non importa, dal suo psichico bipolarismo, di mandare ad una delle solite conferenze di presentazione di libri o spettacoli, un suo replicante, 'macchina' del tutto simile salvo che per l'assenza in essa dell'incerto e del mutabile che rende l'umanità irriducibile nella sua sofferenza ma anche nella sua bellezza esistenziale.
Al riguardo credo non sia essenziale discutere se ciò che abbiamo visto sia più o meno 'teatro', quanto se sia stato, come io credo, 'teatralmente' efficace nel rappresentare una questione di grande importanza.
Scorre in sottofondo l'argomento oggetto della presentazione, il tragico ma metaforico destino del matematico Alan Turing, primo ideatore del concetto/software del computer e famoso per aver decrittato il famoso codice nazista “Enigma”, così contribuendo alla vittoria alleata nella seconda guerra mondiale.
Ma la sua storia è metaforica anche in quanto, essendo omosessuale, fu costretto nonostante i suoi notevoli meriti a cambiare chimicamente, con l'assunzione di ormoni femminili, il suo corpo fino a renderlo a lui stesso irriconoscibile tanto da rifiutarlo nel tragico suicidio, da tempo preconizzato, con la mela (!) di Biancaneve.
Ma non solo, è illuminante che negli ultimi anni della sua vita Turing si sia dedicato a studiare embriologia giungendo a dimostrare come le forme della natura e dei suoi esseri viventi, umani compresi, fosse il frutto di un amalgamarsi e sovrapporsi di varianti impreviste, di 'errori' dunque', che costituivano appunto la loro paradossale 'perfezione'.
Qui la (non)drammaturgia coglie una ferita che sanguina nell'umanità, tra attrazione e rifiuto, attrazione per una diversa e ripetibile all'infinito perfezione che elimini incertezze e mutazioni e quindi la sofferenza, e la repulsione verso macchine/robot sempre più simili a lui e che, più diventano simili, più mostrano un evidente mancanza ed una dissociazione che le rende 'mostri' che fanno paura e che vogliamo allontanare.
Questa è la genesi di un titolo (traducibile in “la valle perturbante”), che ripropone le ipotesi di studio sulla robotica del giapponese Masahiro Mori nel 1970.
Convivono dunque, in questo eterodosso spettacolo, un aspetto psicologico ed esistenziale, che fa da spunto e stimolo narrativo cogliendo una dimensione diffusa del nostro vivere oggi, ed un aspetto metafisico che riguarda, culturalmente, la nostra condizione complessiva e sostanzialmente extra-storica.
La sofferenza singolare del drammaturgo, quasi impudicamente squadernata al pubblico, produce infatti una dimensione più universale che, nel bene ma purtroppo soprattutto nel male, tutti ci riguarda e di cui tutti dobbiamo cominciare a leggere gli esiti, dalle sempre più ampie diseguaglianze alla tendenza a far degenerare il lavoro umano in schiavitù anziché, come da propaganda 'mainstream', dalla schiavitù riscattarlo, e infine al dilagare della 'solitudine' individuale e sociale, con robot e pelose macchine da compagnia per assistere gli anziani (con il di più sottinteso di molto risparmiare).
Uno spettacolo anch'esso attraente e insieme disturbante, andato in scena nel contesto del sempre interessante cartellone di “FuoriLuogo”. Alla, ora assai funzionale, sala del “Dialma Ruggero” di La Spezia il 24 febbraio, in due repliche. Esemplare lo sconcerto del numeroso pubblico presente, quasi perplesso o perturbato nel coglierne la fine (e il fine?).
Concept, Text & Direction: Stefan Kaegi. Text / Body / Voice: Thomas Melle. Equipment: Evi Bauer. Animatronic: Chiscreatures Filmeffects GmbH. Manufacturing and Art Finish of the silicone head / coloration and hair: Tommy Opatz (2023) Manufacturing and Art Finishing of the silicone head and coloring: Ina Chochol; Hair punching: Susanna Lang; Mounting-systems and rework animatronics: Jörg Steegmüller/Steegmüller Skulpturen, Dramaturgy: Martin Valdés-Staube. Video Design: Mikko Gaestel. Musik: Nicolas Neecke. Production management Rimini Protokoll / Touring: Monica Ferrari. Light Design / Touring: Robert Läßig, Martin Schwemin, Lisa Eßwein Sound- and Video Design / Touring: Jaromir Zezula, Nikolas Neecke, Manuela Schininá.