Fabrizio De Andrè scrisse, compose e pubblicò nel 1970 l'omonimo disco-racconto prendendo a pretesto, in senso propriamente letterale di pre-testo, i numerosi e molto compositi Vangeli cosiddetti apocrifi, che stanno ai Vangeli Canonici
come la Fede rispetto al Catechismo o come l'Utopia rispetto alla Ideologia, intendendo con ciò che, pur trattandosi di definizioni diverse e anche contrastanti, nella loro profonda sostanza si riferiscono al medesimo evento sociale o fenomeno psicologico personale ma con l'essenziale differenza che nei primi (Fede e Utopia) prevale il calore e la fantasia dei desideri e dei sentimenti, mentre nei secondi (Catechismo e Ideologia) si irrigidisce la freddezza degli schemi che ne depotenzia la forza eversiva.
Bene ha fatto, dunque, Giorgio Gallione nella “Buona Novella”, la sua drammaturgia e regia andata in scena in prima nazionale nella produzione del Teatro Nazionale di Genova, a costruire, con intelligenza e sensibilità, una struttura drammatica e scenica, leggera e mai prevaricante, che potesse anticipare, accogliere ovvero annunciare (proprio in senso evangelico) l'irrompere della grande forza narrativa e lirica della poesia e della musica, tra di loro raffinatamente risonanti, di “Faber”.
Superfluo ricordarne i momenti scenici, anche perchè la musica e la poesia di De Andrè fanno ormai parte non solo della memoria intima e esistenzialmente singola di molti, ma anche e soprattutto, oserei dire, di quella comune, collettiva e significativamente condivisa, in valori e speranze, in pensiero e sentimento, di tutti.
È infatti, il ricordare De Andrè, spesso il frutto di una memoria per così dire 'surgiva' che trova con immediatezza corrispondenza e suggestione nelle parole e nelle note, nelle canzoni e nelle pagine dei suoi innumerevoli concerti, quasi ormai non ci fosse neanche più bisogno di pensarvi consapevolmente.
Avrebbe compiuto ottantaquattro anni, lo scorso 18 febbraio, se una morte inaspettata non ce lo avesse tolto venticinque anni fa, l'11 gennaio.
Tornando all'oggi, detto della regia positivamente 'invisibile' ma ben presente negli accorti movimenti scenici, adeguatamente sostenuti dagli arrangiamenti e dalla direzione musicale di Paolo Silvestri, la scenografia appare semplice, dai tratti volutamente ingenui e a volte volutamente naif a ricordare analoghi elementi estetici che hanno fatto, comunque, anch'essi parte della creatività del cantautore/poeta genovese.
Una creatività frutto di uno sguardo che guardando dentro sé stesso gli ha permesso, e ci ha permesso, di illuminare tanti aspetti della umanità di tutti.
Per quanto riguarda gli interpreti, il cast ha dato una prova molto efficace, a partire, ed è giusto sottolinearlo, dai cinque, e tutti bravissimi, giovani musicisti/cantanti che hanno fatto da 'coro' (operistico-lirico e tragico-drammaturgico insieme) allo e nello spettacolo, con menzioni particolari per la brava violinista Anais Drago, nella sua qualità musicale e anche nella presenza scenica, e per la chitarrista e cantante Giua che ricordiamo nella “Maria Stuarda” di Livermore e che qui offre una prestazione di ottimo livello.
In uno scenario che correttamente ripropone la scelta di De André di centrare la sua narrazione cristologica in particolare sulla figura di Maria, scelta anticipatoria anche di evoluzioni nella società ma pure nel seno della stessa Chiesa, Rosanna Nadeo è una madre di Cristo credibile e partecipata che sottolinea l'umanità di sé e degli altri, poiché, come dice la canzone, amiamo ricordare Cristo non come figlio di Dio, ma come figlio dell'Uomo, nostro fratello.
Il narratore Neri Marcoré conferma le sue doti di versatilità recitativa mantenendo per tutto lo spettacolo una grande misura ed equilibrio, capace di commuovere e rendere partecipi ben più di qualsiasi forzatura anche retorica, e ricca anche di qualità canore notevoli, in grado di suggerire “Faber” senza mai pretendere di sovrapporvisi.
Un bello spettacolo, con il quale il Teatro Nazionale di Genova ricorda con affetto e partecipazione diffusamente sentita, e non celebra vuotamente, un altro grande personaggio della cultura genovese, dopo Fantozzi/Villaggio che di lui fu in vita molto amico, per lui scrivendo anche famosissime canzoni.
Al teatro “Ivo Chiesa” di Genova dal 26 febbraio al 3 marzo. Alla prima una sala colma di gente (della sua gente verrebbe da dire) nonostante un tempo poco clemente. Inconsueti e numerosi applausi a scena aperta. Lunga ovazione finale.
LA BUONA NOVELLA di Fabrizio De André, drammaturgia e regia Giorgio Gallione, arrangiamenti e direzione musicale Paolo Silvestri, con Neri Marcorè, e con Rosanna Naddeo, voce e chitarra Giua, voce, chitarra e percussioni Barbara Casini, violino e voce Anais Drago, pianoforte Francesco Negri, voce e fisarmonica Alessandra Abbondanza, scene Marcello Chiarenza, costumi Francesca Marsella, luci Aldo Mantovani, Produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Carcano, Fondazione Teatro della Toscana, Marche Teatro
Foto Tommaso Le Pera (particolare)