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Capita a volte che le migliori intenzioni, pur con tutta la buona volontà di tutti, non trovino piena e coerente accoglienza in un testo ovvero nella messa in scena che, nella sua trasformazione drammaturgica, a quel testo si ispira. Premetto che non ho

letto il romanzo di Fabio Genovesi, il quale insieme ad Angela Finocchiaro e Bruno Stori che ne sono i protagonisti, ha collaborato alla drammaturgia in questione, e che dunque solo quest'ultima posso considerare, ma gli esiti che ne sono transitati in scena appaiono qualche volta vicini ad una eccessiva semplicazione, se non anche un po' banali.
La scrittura è semplice, anche nella sua elaborazione retorica e linguistica, prossima alla narrativa per ragazzi, nella quale peraltro lo scrittore ha di recente esordito con successo, e, teatralmente parlando, più al teatro ad essi ragazzi vocato che al teatro di figura, cui la sintassi scenica volenterosamente si ispira anche nell'uso delle ombre e dei video.
Ne è segno l'uso di fraseggi circensi, tra capriole e giochi di prestigio da provincia onirica, senza peraltro scomodare Federico Fellini, e di passaggi coreografici e musicali che suggeriscono un “musical” molto italiano, anche qui senza dover scomodare Broadway.
All'interno di questa forse troppo complicata struttura segnica e simbolica, che la mano registica di Carlo Sciaccaluga cerca di organizzare al meglio, la presenza della “Angela”, sfiorita e depressa assicuratrice, di Angela Finocchiaro, sempre molto brava in quello che fa e sa fare, risulta poco amalgamata, più un ripetuto intermezzo o un siparietto/scheck televisivo che una vera fusione tra due mondi lontani che improvvisamente e surrealmente si incontrano.
In fondo narrare la realtà, nelle sue profonde contraddizioni umanamente vissute, attraverso l'immaginazione non sempre è agevole, come stanno a ricordarci le commedie di Massimo Bontempelli o quelle, più recenti, di Edoardo Erba ove l'arma dell'ironia, che non è “sic et simpliciter” comicità, anche se comica può diventarlo, è usata con più palese efficacia.
Altrimenti l'effetto sorpesa illuminante del “coupe de scène” si smorza e disperde, nascondendosi come il Calamaro Gigante, ovvero il mitico “Kraken”, nel profondo del mare e nelle spire irresistibili del nordico “Maelstrom”.
In questo il pluripersonaggio, gli antichi e recenti ricercatori del Kraken, fedeli ad una Chiesa che restò isolata ma anche più che fantasiosi anticipatori di tanti “ufologi” nostrani, interpretato da Bruno Stori vive in scena di una maggiore verosimiglianza, quella verosimiglianza all'umano che non è piatta imitazione e che da sempre deve guidare, tra realismo e immaginazione, la prestazione scenica.
Tutto questo ricordato, lo spettacolo non è spiacevole, forse un po' troppo lungo per evitare una certa ripetitività, e sulla scena regge, con spunti talora interessanti e di maggiore visibilità e vivacità.
I giovani co-protagonisti che, pirandellianamente raggiungono il palcoscenico dal fondo della platea, dimostrano buona scuola sia in mimica che in vocalità.
Apprezzabili le scenografie, l'ambiente luci, quello musicale, e i costumi. Al teatro Ivo Chiesa di Genova, co-prodotto dal locale Teatro Nazionale, dal 13 al 17 marzo. Alla prima il nome o i nomi di grande richiamo hanno prodotto il “sold out” e molti applausi, anche se forse ce ne saremmo aspettati di più lunghi.

“IL CALAMARO GIGANTE”, dal romanzo di Fabio Genovesi, adattamento Fabio Genovesi, Angela Finocchiaro, Bruno Stori, regia Carlo Sciaccaluga, con Angela Finocchiaro, Bruno Stori e con Gennaro Apicella, Silvia Biancalana, Marco Buldrassi, Michele De Paola, Sofia Galvan, Stefania Menestrina, Caterina Montanari, Francesca Santamaria Amato, scene e costumi Anna Varaldo, musiche Rocco Tanica, Diego Maggi, luci Gaetano La Mela, video Willow production, creature marine Alessandro Baronio, produzione Teatro Nazionale di Genova, Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli.