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Daniela Ardini sceglie per questo suo spettacolo, che esordì lo scorso luglio al festival “Una notte d'estate” di Lunaria Teatro, un testo non molto conosciuto, e che poco è circolato anche in Germania, del drammaturgo tedesco Harald Mueller, scrittore

assai controverso nella stessa 'ricezione' in patria, forse perché anche generazionalmente (1934-2021) espressione di quel dopo-guerra, tra fughe, esilii, distruzioni e l'oblio nell'improvvisa ricchezza di un, in fondo, 'cieco' boom economico.
Il confine forse che non è mai stato attraversato, sia psicologicamente dal drammaturgo e socialmente dall'intero popolo tedesco e con esso dall'intera Europa, è stato quello tra l'elaborare il proprio passato (come non ricordare i moniti di Fassbinder) e il fare i conti con il proprio futuro, quando si resta fermi ad un presente un po' ottuso ed alienato.
Questo testo in parte lo tenta, di attraversare quei confini, e per questo talora risulta, alla coscienza europea, ancora in qualche modo sgradevole e sgradito, soprattutto ove si sovrappone a quella coscienza di imminente catastrofe delle generazioni più giovani che non tanto non credono più al futuro, quanto credono che non ci sia più il futuro.
Una coscienza che la crisi ecologica e climatica (figlia diretta della preesistente paura dell'olocausto “nucleare”) incarna profondamente e che le classi egemoni invece di affrontare imbellettano di progetti, programmi e ultimative decisioni che poi, regolarmente, disattendono.
Il tema è infatti 'il viaggio' nei deserti contaminati (in psiche/atmosfera e in corpo/terra), verso la salvezza, verso la bellezza, verso la purezza e infine verso la giustizia, che intraprendiamo quando siamo cacciati dalla città fortezza (come non riconoscervi le nostre metropoli) in cui ci siamo rifugiati (un topos prevalente nella moderma letteratura distopica). Una fiaba e un sogno insieme, ma forse non inutile se quanto meno recuperiamo, salvandola, un po' della nostra umanità.
La messa in scena della Ardini sceglie un registro linguisticamente anch'esso contaminato, tra la parabola etica e la favola grottesca, spesso accentuando i toni per uscire dalle righe del testo e renderlo così più morbido e, mi si perdoni il termine, masticabile, regolando i movimenti prossemici e lo scenario complessivo in una sorta di ritmica compulsiva in cui è precipitata, ritraendosi, l'umanità di un umano ormai assai poco umano.
Tra didattica ed etica ricerca delle colpe degli uomini quali erano (e sono) e scivolamenti onirici, in cui il passato non è che la 'spiegazione' del presente e del futuro, quella che è difficile rintracciare è la luce di una qualche speranza che pare assente del tutto, dentro un pessimismo cosmico in cui l'unico riscatto sembra, al di là della consapevolezza che nasce dalla conoscenza e dalla denunzia, essere la morte 'scelta'.
Ne segue che la stessa recitazione dei quattro bravi protagonisti utilizza toni un poco forzati per liberarsi dalle catene di un ruolo tragico, riscattando e consentendo di riscattare un po' del dolore di vivere nel sorriso e nel riso tagliente del 'comico'.
Belle le figurative scenografie e le video proiezioni molto”comics”, efficace l'ambiente sonoro segnato dal rumoroso tam-tam della morte che ci chiama, e quello delle luci che virano nel rosso delle esplosioni atomiche e del sangue.
Uno spettacolo interessante, al teatro Eleonora Duse di Genova dall'8 al 10 maggio. Buona l'affluenza del pubblico ed il suo gradimento.

LA ZATTERA DEI MORTI di Harald Mueller, regia Daniela Ardini, con Rita Castaldo, Francesco Patanè, Paolo Portesine, Alessio Zirulia, musiche Giorgio Neri, Alessio Panni, visual Scuola Chiavarese del Fumetto – Stefano Gualtieri, Luca Nasciuti, scene Giorgio Panni, Giacomo Rigalza, luci Cesare Agoni, costumi Gianluca Sbicca, trucco Barbara Marano, dramaturg Michaela Bürger – Koftis. Produzione Lunaria Teatro.

Foto Diego Rubiera