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Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta Alberto Gozzi ed il fratello (maggiore) Luigi si inventarono, molto prima che il teatro di narrazione avesse il successo che ha avuto, un “Teatro Racconto” che a quello è simile anche

etimologicamente e linguisticamente ma con il quale più che una relazione diretta di filiazione o fratellanza ha un rapporto che definirei di 'cuginanza', una confluenza 'divergente' per usare un paradosso.
Ciò che caratterizza, diversificandolo, il “Teatro Racconto”, infatti, non è tanto la volontà di narrare la narrazione in scena, quanto quella di mostrare consapevolmente il meccanismo che precede, genera e struttura, tra semantica e sintassi, quella narrazione in scena.
Forse in questo è mutuato più dalla lingua del radiodramma, integrando però l'ambiente sonoro e musicale che prevalentemente costituisce l'accadimento di quello, con l'elemento della visione teatrale (theaomai) attraverso la presenza in scena, che non è mai neutrale, come non è mai neutrale ad esempio un documentario rispetto all'evento che apparentemente descrive.
In “Mosquitos”, ultimo lavoro di Alberto Gozzi, che a quel teatro racconto felicemente ritorna e che dopo l'esordio a Torino è andato in scena nel piccolo ma confortevole teatro Garage di Genova (in fondo ricorda talora proprio uno studio di registrazione radiofonico), tutti quegli elementi 'epici', e anche di modalità espressiva si fanno espliciti, con l'aggiunta però di un'altra essenziale grammatica, quella della relazione, appunto in presenza contestuale, dell'attrice protagonista e del drammaturgo regista.
È una relazione, che si nutre anche ma non soprattutto di elementi esistenziali, ovvero, per così dire affettivamente, di storie condivise, ma che, come i due poli di un circuito elettrico attivato all'apertura del sipario, produce una energia empatica, tra di loro e tra loro e il pubblico, assai singolare ed in grado di trasportare con efficacia moltiplicata il significare profondo del racconto stesso.
Una sorta di corrente elettrica alternata che si auto-alimenta nel fluire tra il gesto del regista, quasi un 'direttore d'orchestra', e la recitazione in voce e corpo dell'attrice, la brava Alessandra Frabetti, quasi scandita questa dall'uso, alternato appunto, del microfono per la parte 'raccontata' e della voce viva (e Carmelo Bene ci ha insegnato quanto incida il mezzo con cui la voce dell'attore è 'diffusa') per i dialoghi che il racconto porta incastonati come iconiche e ironiche gemme.
Un racconto degli anni cinquanta (antico ormai) che suggerisce il modo in cui la realtà veniva percepita e comunicata nelle famiglie e nelle comunità nei tempi, che sembrano così lontani, in cui la virtualità del web non ci aveva ancora sottratto alla relazione fisicamente psicologica con l'altro, per rinchiudere ciascuno in una solitudine in cui si decanta il nostro male di vivere, come nella palude fognaria che scorre sotto Comacchio (lì si sviluppa il racconto), comicamente abitata da strane anguille, extra-mondane ma ancora capaci di 'giudizio' sul loro mondo e sul mondo degli uomini e delle donne 'di sopra'.
Eppure, ed è la forza di questo teatro-racconto, in esso precipita la nostra modernità più inquietante, dalla crisi climatica anticipata, in una comica epidemia di parabrezza segnata da un tragico incidente, da acidi moscerini (i “mosquitos” appunto) che vivono tra sbuffi di metano, alla crisi molto politica rappresentata in un potere incapace di sottrarsi a meccanismi di imprigionamento sociale, all'oscura presenza del male, incredibilmente 'corazzato' in un ironico distanziamento, che il pittore pedofilo e omosessuale incarna quasi suo malgrado.
Ultima ma non ultima, la questione della diseguaglianza di genere di cui riporta, in una sorta di “Amarcord” tristemente felliniano, i prodromi, in una società in cui il femminile è ancora scisso tra la 'Madonna' e la 'puttana' e che l'ironica trama della scrittura lascia trasparire in espressioni e apprezzamenti oggi forse considerati non “politicamente corretti” ma comunque, e chissà se non proprio per questo, lasciati sostanzialmente immodificati.
Se ne fa carico proprio Alessandra Frabetti, attrice di qualità e apprezzata maestra di recitazione in varie importanti scuole, dalla Iolanda Gazzero dove ha insegnato molti anni alla Civica Accademia Teatrale Nico Pepe di Udine, ed altre che non è il caso di elencare, capace di interpretarli al meglio in voce e mimica, una mimica che qualche volta si fa quel ballo tanto amato in Romagna, e così di costruire o ri-costruire intorno a sé una calviniana 'scenografia assente'.
Bel teatro per concludere, nella scrittura di Alberto Gozzi che lo dirige coadiuvato dalla fonica Lisa Lopresti, e nella recitazione di Alessandra Frabetti. Ci auguriamo abbia una vita intensa di approdi in molte altre città. A Genova in unica serata il 10 maggio di fronte a un pubblico che ha mostrato di apprezzare molto.

MOSQUITOS di Alberto Gozzi, con Alessandra Frabetti. Fonica Lisa Lopresti

Foto di scena Riccardo Antonino.