Correva l'anno 1716, quando il comico Luigi Riccoboni veniva invitato a presentare a Parigi un nuovo spettacolo, su invito del reggente
Filippo d’Orleans. Da tempo Les Italiens avevano dovuto lasciare la capitale francese, perché non godevano più della protezione reale dei secoli XVI e XVII, epoca in cui la loro venuta aveva provocato un vero e proprio rivolgimento nel teatro d'oltralpe: il pubblico francese si era familiarizzato con i codici originali della Commedia all'Improvviso (la maschera sul volto, i tipi fissi, le parlate vernacolari, l’uso del corpo e l’invenzione rigorosa su canovaccio), fino a decretarne il successo. I comici italiani erano stati sostenuti prima dalle sovrane fiorentine, Caterina e Maria de Medici, poi dal Cardinale Mazarino. Infine avevano ricevuto dal re Luigi XIV il titolo onorifico di Comédiens du roi con tanto di pensione annuale. Nel 1680 si
erano installati a l’Hôtel de Bourgogne, ma ne erano stati sfrattati nel 1697, per la chiusura del teatro, sotto il pretesto della licenziosità dei soggetti. L'occasione di tornare a calcare le scene francesi, per Riccoboni era ghiotta. Unico problema: l'attore di punta, Tommaso Antonio Vicentini, scritturato nel ruolo dello zanni Arlecchino, non parlava la lingua dell'ospite. Ostacolo facilmente aggirabile dall'impresario, capace di scrivere uno scenario che prevedesse il mutismo del personaggio, ben sapendo di poter far ricorso al repertorio di lazzi ed onomatopee, con cui per secoli si era espresso. Così nasceva il soggetto di Arlecchino, muto per spavento, rappresentato più volte in Francia nel Settecento, ma rimasto inedito in Italia. La compagnia vicentina StivalaccioTeatro, lo porta in scena in prima ripresa contemporanea, per la regia e drammaturgia
di Marco Zoppello, anche nel ruolo del titolo. Uno spettacolo godibile, recitato, cantato e suonato, secondo i crismi del teatro all'antica, con un cast di nove interpreti: quattro innamorati, due zanni, due vecchi ed una servetta. Spaccato della società borghese d'età moderna, mette in scena l'eterno dissidio fra la volontà dei padri (e qui anche delle madri) ed il desiderio dei figli, che proprio non ne vogliono sapere di piegarsi alla logica patrimoniale di un matrimonio combinato. E tutto fanno per scombinare i piani dei ricchi genitori, con la muta complicità del servo Arlecchino, privato dell'indomabile favella sotto le minacce del padrone Lelio, e della serva, Violetta. Le battute dei personaggi fanno leva sul multilinguismo proprio delle maschere di quella che, solo nel Settecento, verrà battezzata con il nome di Commedia dell'Arte, forse dallo stesso Goldoni, che ne opererà la storica riforma: dal veneziano di Pantalone dei Bisognosi e del suo alter ego femminile, la mercatessa Stramonia Lanternani, al napoletano dell'oste Trappola, debitore per gestualità e vocalità del più insigne Pulcinella, dall'idioma romanesco della servetta di Sara Allevi, al bergamasco, qui appunto inibito, di Arlecchino, al francese della giovane Flaminia, l'attrice Marie Coutance. Ma nel corso dello spettacolo si sentiranno anche accenti in piemontese. Molto bene fanno le quattro maschere, dal volto coperto sotto i manufatti in cuoio di Stefano Perocco. Zoppello affronta con inventiva la parte del briccone (che fu già di Moretti, Boso, Soleri): è alquanto comunicativo suo malgrado, attraverso le azioni della pantomima, e garbato nei tormentoni.
Incisivo è anche Pierdomenico Simone, nei panni dell'avido oste partenopeo. Dalla comicità surreale Michele Mori, l'innamorato Mario, soffocato da una madre che ha a cuore l'incremento della rendita più che la felicità del figlio, la persuasiva Anna De Franceschi. Si esprime nella lingua di Goldoni, ma anche in un francese maccheronico, che strizza l’occhio a Totò e Peppino a Milano, Stefano Rota, Pantalone. A compensare secoli di subalternità, un ruolo da protagoniste se lo giocano nella commedia le donne. Fra di esse l'amorosa Silvia, interpretata da Maria Luisa Zaltron, che non esita a mostrarsi sola in strada, a passeggio, pur di sedurre il troppo accomodante Mario.
Di indole opposta il focoso Lelio, giunto appunto a Milano per amore di Flaminia, impersonato da Matteo Cremon. La compagnia non risulta però sempre ben amalgamata. In scena combatte, canta, suona e genera a vista i rumori che sostengono con precisione gesti ed azioni; tuttavia risulta più convincente in alcuni momenti, fra lazzi e scene non in lingua, intermezzi con il pubblico e brani polifonici, eseguiti a cappella o grazie ad una semplice strumentazione. L’allestimento è
dedicato al maestro Eugenio Allegri.
