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Per leggere e interpretare gli spettacoli delle “Rappresentazioni classiche siracusane” (quest’anno alla cinquantanovesima edizione) il primo passo è avere ben presenti i vari piani di senso che s’intersecano nella realizzazione di questi lavori e che

vanno a comporsi e a moltiplicarsi nella fruizione del pubblico. Anzitutto il piano del testo antico e della straordinaria esperienza culturale che è alla base della drammaturgia attica. L’Italia, insieme con la Grecia, è forse il paese al mondo in cui, per una nostra peculiare tradizione culturale, maggiormente è conosciuto il mondo classico e si riesce ancora a porre in una dimensione popolare, “democratica” - e non per questo meno colta - la conoscenza di questa drammaturgia. Un secondo piano è dato dal classicismo e dal neoclassicismo che si sono sviluppati nella lunga tradizione culturale dell’Europa e soprattutto in età moderna: tendenze e percezioni, politicamente sensibili, che, seppur sempre più debolmente, continuano a coprire e condizionare la nostra immaginazione del mondo greco-romano. Poi c’è il piano del lavoro dei traduttori e normalmente si tratta di grecisti o di intellettuali di valore: quest’anno Walter Lapini, che insegna letteratura greca nell’Università di Genova, e Nicola Crocetti poeta, traduttore di letteratura greca contemporanea, raffinato editore al cui lavoro si lega nel secondo novecento la conoscenza della poesia contemporanea internazionale in Italia. In generale si può dire che sempre più le traduzioni dei testi antichi, e specialmente delle tragedie, sono concepite e realizzate in modo da evitare qualsiasi eco neoclassica o turgore retorico. Quindi c’è il piano (si potrebbe anche dire “piani”, al plurale, vista la strutturale complessità del linguaggio teatrale) della costruzione dello spettacolo che si dipana, o si dovrebbe – doverosamente - dipanare da un dialogo profondo, attuale e intelligente del regista col testo proposto. Più questa dinamica dialogica è profonda, meditata e intimamente sfidante per quell’intellettuale a artista contemporaneo che è il regista, più facilmente si riesce a sintetizzare in uno spettacolo che può parlare al pubblico contemporaneo. Uno spettacolo vivo che, utilizzando i testi antichi, riesce a parlare all’uomo contemporaneo dell’uomo contemporaneo. Vi è infine il piano del pubblico: delle sue conoscenze teatrali specifiche, della sua cultura, dei suoi modelli, delle sue aspettative. Non è affatto un elemento secondario, in generale e men che meno a Siracusa: basta parlare con un attore che ha lavorato in uno spettacolo delle Rappresentazioni classiche per capire quale effetto abbiano il fiato e il pensiero delle migliaia di spettatori che ogni sera assistono a quei lavori. È necessario dunque capire quale sia stato il pensiero del regista nell’intersecare questi piani di senso, come e perché li ha incastrati l’uno nell’altro e con l’altro, come ha fatto in modo che si arricchiscano o impoveriscano reciprocamente. Un antico poeta classico e teorico parlava della necessità “callida iunctura” tra le parole della poesia: ecco qualcosa di simile deve saper mettere in atto un regista nel mettere insieme i vari piani di senso da cui far scaturire uno spettacolo tratto da un testo della drammaturgia antica. Questo è veramente il pregio maggiore di uno spettacolo siracusano, fermo restando che l’Istituto del Dramma Antico assicura sempre alle produzioni la partecipazione di registi, di attori e attrici, di musicisti, scenografi, costumisti, compositori, musicisti, coreografi, tutti di livello altissimo e di valore indiscutibile. Queste riflessioni vanno poste – con necessità – alla base di ogni tentativo d’interpretare onestamente gli spettacoli delle rappresentazioni classiche. Anche quelli di quest’anno: ovvero, per quanto riguarda le tragedie, l’Aiace di Sofocle diretto da Luca Micheletti e la Fedra (più precisamente l’’Ippolito coronato) di Euripide diretta dal regista scozzese Paul Curran.

Aiace è un testo difficilissimo da portare in scena: monumentale e umanissimo insieme. Difficile certo perché la catastrofe, ovvero il suicidio dell’eroe, si verifica già a metà dell’opera e perché è un testo il cui senso appare (e per molti versi è) perfettamente concluso, almeno dal punto di vista della cultura che lo ha prodotto. Un eroe vive e muore nobilmente, senza mediazioni o compromessi al ribasso e, proprio in quanto eroe, il suo cadavere va sepolto e onorato. Questo ethos ancestrale risulta espresso nel testo di Sofocle con una chiarezza luminosa che lascia pochissimi varchi all’interpretazione o alla meditazione contemporanea. Pochissimi però non significa nessun varco: sta al regista far risuonare questa vicenda drammatica e saper trovare quei varchi di senso entro cui riuscire ad attrarre l’attenzione intelligente e creativa del pubblico. Noi potremmo immaginare una riflessione sul tema della guerra e di quale eventuale virtù in tempo di guerra, oppure una sul tema della follia o sul passaggio di dimensione antropologica tra Aiace e Odisseo, tra una forza ancestrale che non si piega e un’ intelligenza “moderna” che sa trovare soluzioni e compromessi.  Ecco, lo spettacolo che Luca Micheletti (attore, cantante baritono nel teatro d’opera, regista) ha costruito presenta idee, motivi e valori formali solidi, interessanti, fecondi, ma complessivamente appare fragile proprio per la mancata (o forse poco sviluppata o, se si vuole, poco visibile) elaborazione di un’idea centrale in grado di dare una giusta (e sufficientemente meditata) organizzazione prospettica ai vari piani di senso di cui si è detto. In generale l’intero ensemble attorale, di cui fa parte lo stesso Micheletti nel ruolo di Aiace, è ben assortito, ma ovviamente non bastano, da soli e in quanto tali, i grandi attori. Sono straordinarie piuttosto le musiche di Giovanni Sollima, è solida, misurata e intelligente la prova attorale di Diana Manea nel ruolo di Tecmessa, interessante (anche se non interamente convincente) la prova di Roberto Latini che incarna e interpreta il ruolo del messaggero e, soprattutto, un’Atena, presenza straniata, ipnotica, quasi sempre in scena. Ben riusciti sono soprattutto i cori (maestri del coro: Davide Cavalli e Marcello Mancini): potenti e raffinati allo stesso tempo, arricchiscono molto lo spettacolo che troppo spesso appare sopra le righe senza che l’eccesso di pathos risponda a reali necessità estetiche. Interessante è anche la figura di Ate/Thanatos interpretata con spettrale leggerezza da Lidia Carew: la follia esiziale che sembra condurre tutta la vicenda al baratro finale. Tutto lo spettacolo appare inondato, e in qualche modo bloccato, dalla metafora del sangue: il sangue versato copiosamente nella guerra di Troia, il sangue degli animali massacrati da Aiace ritenendo, nella sua dolorosissima follia indotta da Atena, che fossero i suoi nemici ed ancora il sangue di Aiace stesso versato nel suo irreversibile ed eroico harakiri. Un enorme telo sporco di sangue copre e anima la scena per poi lasciare il posto a una vera e propria macelleria in attività e, nella seconda parte, alla spiaggia di Salamina dove giganteggia l’enorme cadavere, già ischeletrito, di Aiace. Una spiaggia isolata e battuta dal vento ma anche, immediatamente dopo, l’agorà di una arcaica contesa tra gli Atridi, Agamennone e Menelao, da una parte e Teucro (il fratello di Aiace) e Odisseo dall’altra (interpreti nell’ordine: il grandissimo Edoardo Siravo, maestro misurato e convincente, e Michele Nani, Tommaso Cardarelli e Daniele Salvo). Si devono sempre seppellire i morti? La risposta pietosa e positiva in questo caso viene da Odisseo, l’arcinemico di Aiace, e anticipa quella che Sofocle esprimerà compiutamente nell’Antigone, ma anche in questo caso la riflessione sofoclea appare non offre troppi elementi di riflessione e meditazione.

Lo spettacolo euripideo, “Fedra” tratto dall’Ippolito Coronato e diretto dal regista scozzese Paul Curran (traduzione di Nicola Crocetti, mediata sulla scena da Francesco Morosi nella veste di dramaturg) è molto diverso e, per certi versi, presenta caratteristiche esattamente opposte a quelle dell’Aiace di Micheletti. Tanto infatti appare conclusa e impenetrabile al pensiero contemporaneo la vicenda dell’Aiace sofocleo, tanto aperta, problematica e densa di spunti di riflessione e meditazione appare la vicenda di Ippolito e Fedra. Tra i motivi più visibili la scelta quasi assoluta per Artemide e il disprezzo di Afrodite da parte di Ippolito, il suo rifiuto sdegnoso della sfera erotica che tracima nel fanatismo, l’incapacità di Fedra di riconoscere e gestire, in modo adulto, l’onda violenta del proprio sentimento per Ippolito, il mistero del comportamento degli dei e della loro inaudita ferocia, il mistero dell’irrazionale che ci sorprende e domina, la fragilità interiore come trappola e come molla per il verificarsi del male. Questa estrema apertura, questa abbondanza di motivi, di nuclei di senso, di varchi offerti al regista (e al pubblico) dal testo euripideo sembra, in qualche modo, aver disorientato il regista. Esito e segno tangibile di questo disorientamento è la varietà degli ambienti che sembra attraversare senza costrutto lo spettacolo: dalla festa campestre degli amici di Ippolito devoti, come lui, ad Artemide, ragazzi e ragazze in preda a una vaga spensieratezza, “figli dei fiori” o interpreti di qualche film anni settanta (è facile sbizzarrirsi nei collegamenti e nelle possibili fonti d’ispirazione), alla reggia di Trezene (una poco comprensibile impalcatura di legno e tubi innocenti e però abitata da donne vestite di candidi pepli) in cui accade la sciagura di Fedra, fino a un metaforico crollo/incendio/devastazione della reggia sconvolta dal male e dal cieco dolore di Teseo. Al centro un enorme volto di donna che sembra voler richiamare il tutto a una dimensione psicologica e di problematica interiorità che tuttavia non risulta evidente dall’insieme dello spettacolo. È stata giusta la scelta di affidare a nuova e giovane attrice, Alessandra Salamida, il personaggio principale di Fedra: ha svolto il suo lavoro con una giusta - e visibile - dose di emozionata attenzione: Fedra è veramente un mare in tempesta e, comunque la si immagini e interpreti, pretende una gamma enorme di colorazioni emotive. Del resto il lungo alternarsi della triade Crippa, Pozzi, Marinoni, attrici straordinarie e dalle marcatissime caratteristiche stilistiche, era diventato stucchevole sulla scena del Teatro greco aretuseo. Non altrettanto convincente, al contrario, è sembrata la scelta di affiancare a Salamida una Gaia Aprea, indiscutibilmente brava, ma troppo assertiva e vivace nel ruolo della nutrice. Una indicazione del regista probabilmente, ma alla quale la sua lunga esperienza siracusana forse avrebbe potuto porre riparo. Tra l’altro, una nutrice il cui abbigliamento nero e austero indirizza l’immaginazione del pubblico sul piano del moderno dramma borghese. Il resto potrebbe dirsi che viene quasi da sé, vista la competenza e la bravura degli artisti: Ilaria Genatiempo nel ruolo inziale di un’Afrodite imperiosa, sensuale, ferocemente vendicativa; Riccardo Livermoore Ippolito; le corifee Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano e le donne di Trezene Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella; Alessandro Albertin Teseo (ancora una prova attorale di grande intensità), Marcello Gravina messaggero e infine Giovanna Di Rauso nel ruolo, forse poco definito, di Artemide. Assolutamente incongrui poi e dissonanti, nell’economia complessiva dello spettacolo, i costumi da operai o manovali del coro formato dai ragazzi e dalle ragazze della scuola dell’Inda. Tra le cose più riuscite di questo allestimento sono sicuramente da notare la cura della recitazione e che risulta pulita e sempre, anche nei momenti di massimo pathos, ben comprensibile al pubblico e poi l’insieme delle sonorità che attraversano e segnano lo spettacolo: i cori sono riusciti e molto raffinati (direzione di Francesca Della Monica, responsabile Elena Polic Greco, musiche del coro inziale di Matthew Barnes) così come le musiche realizzate da  Ernani Maletta.
Una considerazione appare infine doverosa riguardo alla scelta dell’Inda di chiamare “Fedra” questo spettacolo e non lasciare il titolo euripideo di “Ippolito portatore di corona”. Una scelta interessante per le implicazioni teoriche che presenta. Nessuno scandalo certo, nessun problema ed anzi è vero che c’è una lunghissima e importante tradizione di riscritture e rielaborazioni del testo euripideo (non solo novecentesche) che hanno scelto il punto di vista di Fedra per rileggere questa vicenda tragica e quindi, legittimamente, si sono chiamate col nome dell’eroina. Qui però non siamo in presenza di una riscrittura e nemmeno di una rielaborazione ma, come si è detto, di uno spettacolo che parte dal dialogo tra un regista contemporaneo e un testo di Euripide e arriva a un allestimento che resta dentro il recinto di questo dialogo. Occorreva allora lasciare il titolo euripideo, oppure mettere nero su bianco che non si è vista la “Fedra” di Euripide, ma la “Fedra” di Paul Curran tratta da “Ippolito portatore di corona” di Euripide.

Aiace di Sofocle 
In scena a Siracusa, Teatro Greco, a giorni alterni dal 10 maggio al 5 giugno 2024 (www.indafondazione.org). Traduzione di Walter Lapini. Regia di Luca Micheletti. Musiche originali di Giovanni Sollima. Scene e luci di Nicolas Bovey. Costumi Daniele Gelsi in collaborazione con Elisa Balbo. Maestri del coro: Davide Cavalli e Marcello Mancini. Coreografie di Fabrizio Angelini. Personaggi e interpreti: Atena/Messaggero Roberto Latini, Odisseo Daniele Salvo, Aiace Luca Micheletti, Tecmessa Diana Manea; Eurìsace Arianna Micheletti Balbo, Teucro Tommaso Cardarelli, Menelao Michele Nani, Agamennone Edoardo Siravo, Ate/Thanatos Lidia Carew. Coro di marinai. Corifei: Giorgio Bongiovanni Lorenzo Grilli Mino Francesco Manni Francesco Martucci. Coreuti: Giovanni Accardi, Gaetano Aiello, Ottavio Cannizzaro, Pasquale Conticelli, Giovanni Carlo Dragano, Raffaele Ficiur, Gianni Giuga, Paolo Leonardi, Marcello Mancini, Marcello Zinzani. Accademia d'Arte del Dramma Antico, sezione Giusto Monaco. Marinai: Tommaso Arquilla, Alberto Carbone, Giovanni Costamagna, Alessandro Cunsolo, Christian D’Agostino, Carlo Alberto Denoyé, Gabriele Esposito, Lorenzo Ficara, Ferdinando Iebba, Marco Maggio, Lorenzo Marra, Moreno Pio Mondì, Matteo Nigi, Lorenzo Patella, Tommaso Quadrella, Daniele Sardelli, Massimiliano Serino, Davide Sgamma, Stefano Stagno, Giovanni Taddeucci Erinni/Soldati/Dèi: Andrea Bassoli, Davide Carella, Carlo Andrea Donizetti, Salvatore Mancuso, Carlo Marrubini, Riccardo Massone, Giuseppe Oricchio, Davide Pandalone, Francesco Ruggiero, Flavio Tomasello. Violoncelli: Francesco Angelico, Christian Barraco, Cecilia Costanzo; Percussioni: Giovanni Caruso. Arpa: Giuseppina Vergine. Clarinetto: Marcello Zinzani Trombone: Paolo Leonardi. Crediti fotografici di Franca Centaro.

Fedra di Euripide
In scena a Siracusa, Teatro Greco, a giorni alterni dall’11 maggio al 28 giugno 2024 (www.indafondazione.org). Traduzione di Nicola Crocetti. Regista Paul Curran. Assistente alla regia Michele Dell’Utri. Scene e costumi di Gary McCann. Direzione del coro, Francesca Della Monica. Responsabile del coro Elena Polic Greco. Musiche del coro inziale di Matthew Barnes. Musiche dello spettacolo di Ernani Maletta. Disegno luci di Nicolas Bovey. Video Design di Leandro Summo. Drammaturg Francesco Morosi. Personaggi e interpreti: Afrodite, Ilaria Genatiempo, Ippolito, Riccardo Livermore, Un servo, Sergio Mancinelli, Nutrice Gaia Aprea, Fedra Alessandra Salamida, Teseo Alessandro Albertin, Messaggero Marcello Gravina, Artemide Giovanna Di Rauso. Corifee: Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano. Coro di donne di Trezene: Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella. Coro dell’Accademia d’arte del dramma antico: Caterina Alinari, Allegra Azzurro, Andrea Bassoli, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Clara Borghesi, Davide Carella, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Sara De Lauretis, Ludovica Garofani, Enrica Graziano, Gemma Lapi, Zoe Laudani, Salvatore Mancuso, Carlo Marrubini Bouland, Arianna Martinelli, Riccardo Massone, Linda Morando, Giuseppe Oricchio, Davide Pandalone, Carloandrea Pecori Donizetti, Alice Pennino, Francesco Ruggiero, Daniele Sardelli, Flavio Tomasello, Elisa Zucchetti. Crediti fotografici di Maria Pia Ballarino.

Foto di Franca Centaro e Maria Pia Ballarino