Al fine di approfondire almeno per brevi “spunti” il rapporto che lega lo spettatore alla scena teatrale, voglio qui porgere all’attenzione del lettore alcune considerazioni che ritengo non solo utili ma anche necessarie allo scopo proposto.
Lo credo utile e necessario soprattutto in questo nostro tempo in cui, assieme a tanti aspetti del vivere civile e sociale messi in pericolo, temo che anche il nostro teatro possa cadere in una crisi difficilissima da superare. Come sempre nella nostra vita la consapevolezza e la conoscenza delle cose aiuta ad andare avanti, e a migliorare e migliorarsi, compresi anche i nostri modi di fruizione e di critica costruttiva dello spettacolo teatrale.
Innanzi tutto voglio ora sottolineare alcune modalità del rapporto spettatore-attore, che è alla base del fare teatro prima ancora che divenga anche spettacolo concluso. Tale rapporto dovrebbe sempre creare una sorta di onda che collega le due entità, e le “fonde”, oltrepassando lo spazio fisico, corporale, emotivo e intellettivo che le separa.
Tale processo è raggiungibile quando:
lo spettatore si emoziona godendo della credibilità e dell’efficacia degli attori;
tale effetto rafforza il senso di partecipare a un rito mondano e sociale che gratifica il senso di solitudine che spesso nell’epoca postmoderna ci assale;
raggiungere un grado alto di “tropismo”, di collegamento fisico ed emotivo, fra attori e spettatori, quasi a livello se vogliamo erotico (quando soprattutto il tropismo e la sua energia collegano persone che vivono un’attrazione prima e dopo il fatto scenico);
provare emozioni anche di natura intellettuale che spingono lo spettatore alla consapevolezza e all’approfondimento culturali, alla riflessione di carattere etico, morale, filosofico;
provare gusto per ciò che gli attori presentano come novità e originalità creativa;
occorre che lo spettatore oltre a provare ammirazione per gli attori, esprima eventualmente anche disgusto, spiazzamento, forte passione anche mentalmente negativa.
Aggiungo ancora: è necessario da parte dell’attore essere “leggibile” (deve far capire nell’hic et nunc scenico cosa accade, e perché si mostra si fa e si dice un qualcosa), credibile, ed efficace espressivamente; deve essere “organico” rispetto agli spettatori, affinché i nodi di cui si compongono i vari “fasci” di rapporto sia un processo dinamico organico, quasi divenendo una cosa sola, un segno distinguibile per chi “guarda”, assiste, partecipa, anche con la finalità di andare ben oltre al testo e contesto scenico, e ciò quando gli spettatori iniziano loro stessi a lavorare con le loro immagini e magari a “vedere” oltre lo spettacolo.
Se non includiamo lo spettacolo inteso come performance d’attore, se tralasciamo qui le forme che Lehmann ha definito come “postdrammatiche”, e puntiamo l’attenzione alle forme più frequenti di spettacoli teatrali che consistono nella messa in scena di un testo drammatico, allora dobbiamo anche puntare l’attenzione su una terza entità, e cioè I PERSONAGGI, interpretati sulla scena dagli attori, entrando così in pieno nel mondo della finzione, e sospendendo la cosiddetta incredulità di chi guarda e ascolta.
I personaggi hanno aspetti, proprietà, caratteristiche che devono essere ben precisati. Per cui, al fine di indicare tali proprietà le quali vanno oltre le funzioni immediate del personaggi come agente o paziente delle diverse azioni dell’intreccio drammatico, credo utile che si organizzi una sorta di schema statutario, un decalogo, in modo da enumerare, il più possibile, tutti i segni denotanti le dramatis personae.
In attesa di approfondire i vari punti nei prossimi interventi nella presente Rubrica, segnalo qui, come anticipazione, e in estrema sintesi, i 10 punti base del decalogo riguardante il personaggio:
il suo ruolo nella fabula di azione globale;
il suo ruolo come agente o paziente delle diverse azioni dell’intreccio;
la sua possibile classificazione come stereotipo;
la sua posizione in quanto presunto individuo nel mondo drammatico della finzione scenica;
il suo rapporto col mondo reale;
il suo statuto intertestuale;
le sue qualità attribuibili per virtù di composizione scenica dovuta all’attore interprete;
il suo statuto “pronominale”;
il suo modo di essere un soggetto parlante;
infine, va sottolineato che tutte tali caratteristiche non determinano in senso assoluto il personaggio ma lo definiscono “per opposizione”, in quanto è messo in rapporto con le varie altre figure di personaggi coinvolte.
Ai prossimi approfondimenti…