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La Balera Pizzigoni è un piccolo mondo antico che si affanna nei tempi che cambiano. Metà anni Ottanta, la grande nevicata su Milano di gennaio, tutto è paralizzato eppure tutto si muove nel ricordo di ciò che è stato. Tra palazzoni che crescono come

funghi nell’hinterland della grande città lombarda, lungo il Lambro che neppure passa per quel paesino se non per lasciarne traccia nel nome, la famiglia allargata dei Pizzigoni trascorre i decenni attorno a quella balera, danzando, immobile. 
In scena al Teatro Menotti di Milano (via Ciro Menotti, 11 a Milano fino al 22 giugno), “Nuova Balera Pizzigoni” è una grande metafora della vita che fluisce con adombrata consapevolezza che tutto cambia e tutto passa. La danza diventa lo spartito su cui si realizza questa amarezza, con brani di liscio e intermezzi recitati. La musica dal vivo della balera, i due fratelli che fratelli non sono, le due fidanzate che si sono scambiate i fratelli, il latin lover, il nostalgico, la matrona vedova che sbagliò funerale. E naturalmente incombe la figura del fondatore di tutto ciò, morto e sepolto eppure onnipresente nel perpetuarsi fuori tempo di questa storia. La sua storia, diventata la storia di molti altri che faticano a scriverne una propria, diversa, nuova.
La varia umanità porta il grottesco delle vite ordinarie ad un tono di sorridente garbo, che tutto trasforma in simpatica empatia. Scritto e diretto da Emilio Russo, non ambisce a una drammaturgia stratificata né evocativa, ma fa della semplicità più disarmante, quella delle chiacchiere a margine della balera, la propria cifra stilistica.
L’affresco di una umanità al tramonto che intravede la fine di un’epoca ma non sa che tale fine sarà definitiva, inesorabile, drastica.

Foto Laila Pozzo