Riprendo, approfondendo determinati aspetti, lo schema sul personaggio presentato nel mio precedente intervento di giugno scorso. Nel farlo sottolineo come a teatro nulla è dato in assoluto, tutto è, più che relativo, relazionale. Perfino un personaggio
esclusivamente monologante non è un’entità del tutto autonoma e distaccata, ma deve comunque mettersi in relazione con gli spettatori. Detto questo, quando si parla in termini specialistici di “ruolo di azione globale”, nella fabula di un testo/spettacolo teatrale, ci si riferisce ai personaggi che possono essere “protagonisti”, “antagonisti”, “oppositori”, “aiutanti”. Però devo sottolineare ancora l’importanza del contesto costituito dalla “azione globale”.
Il perché è intuitivo: un conto è prendere in considerazione una singola scena, un passaggio parziale nello sviluppo delle azioni drammatiche, un altro è considerare nell’interezza della parabola drammaturgica se un personaggio è fondamentalmente “protagonista”, “antagonista”, “oppositore”, “aiutante”. In un segmento parziale un personaggio può apparire come protagonista, ma ciò non è sufficiente, poiché è nell’arco della “azione globale” che si decide il ruolo del personaggio.
Gli esempi sono svariati, e possono dipendere ovviamente dalle intenzioni dell’autore del testo, ma, con l’avvento della regia critica, e con la consapevolezza della non assolutezza degli elementi in gioco, il regista, gli attori, gli spettatori stessi, critici, o no, possono interpretare l’opera con quella ambiguità di significati che permette il variare delle interpretazioni di tutte le figure ricordate.
Restando nell’ambito del teatro italiano, si pensi, per le nostre finalità analitiche, all’esemplarità del testo pirandelliano Così è (se vi pare): chi è davvero protagonista, chi aiutante, chi oppositore, o antagonista, fra il prefetto Agazzi, il signor Ponza, la signora Frola, la giovane che nel finale appare senza svelare la sua vera identità (e soprattutto se figlia o meno della signora Ponza), e infine il “filosofo Laudisi?
In genere il personaggio protagonista nella “azione globale” è quasi sempre indicato, e quasi sempre è colui che deve raggiungere un obiettivo importante, superando degli ostacoli e trovando via via degli “aiutanti” o degli “oppositori”: tale linea schematica, però, col Novecento, s’indebolisce, in particolare con la specie di genere del “racconto di formazione”, e ancor di più con testi di letteratura drammatica dove i personaggi vivono conflitti interiori e nodi psichici che possono sprofondare nel patologico: in questi due casi, presi per esempio, giacché non sono gli unici, la linea data dall’obiettivo da raggiungere è meno determinata, meno netta, per cui nel contesto di azione globale le attribuzioni al suo interno tendono ad assumere sfumature di significato più che di azione anche decisive. Nei testi in cui si presentano conflitti di natura psicologica spesso i ruoli si invertono (si pensi alla drammaturgia pasoliniana), quando, ad esempio, un figlio protagonista cede il suo ruolo di azione globale ad una figura genitoriale.
Nel Novecento, senza dubbio, l’attribuzione del ruolo nell’azione globale si problematicizza, specie dove predomina una cultura legata alla classe borghese. Però, se si pensa ad un Bertolt Brecht, l’attribuzione dei ruoli è netta, indiscutibile, pur con tutte le sfumature che non rendono alcun personaggio una monade di per sé assoluta; per l’autore di Madre Courage e i suoi figli, la lotta di classe è il vero valore assoluto, di fronte al quale ciascun personaggio assume le sue responsabilità e svolge un preciso ruolo di azione. Chiaramente l’epoca e l’ambiente culturale in cui si svolge la cultura teatrale sono ben esplicative di determinate scelte nella creazione dei personaggi e nella attribuzione di un ruolo nell’arco dell’azione globale. Nel Teatro Elisabettiano, ad esempio, il sistema politico e sociale, imperniato sulla casa reale, spesso, specie nel genere tragico, attribuiva a personaggi regali il ruolo di protagonisti a tutti gli effetti, ma nelle dinamiche etiche e morali del loro agire era sempre incistata quella tendenza al male o all’errore che depotenziavano di fatto proprio la loro capacità di incarnare il ruolo. Si può infine citare l’immenso Shakespeare, i cui testi hanno dato dal ‘700 in poi la possibilità di svariare le interpretazioni dei ruoli fino quasi al loro stesso ribaltamento!
Infine mi piace raccomandare al lettore di assumere queste mie note come un semplice e immediato strumento di chiarificazione, specie quando si fanno in apparenza forzate le interpretazioni di chi mette in scena un testo drammatico.