Vi è un aspetto del femminile che ne costituisce insieme l'essenza (condivisa) e la differenza (da condividere) ed è quella della 'continuità', quella che nasce dall'essere capace (il femminile come principio intendo) di creare/costruire la vita umana e
che, di conseguenza, lo pone in grado di percepire il futuro, in senso filosofico e metafisico, come orizzonte e non come 'obiettivo' da conquistare o abbattere, come è caratteristica invece, storica, del maschile come si è esso stesso concepito e strutturato.
Qui in fondo si radica e radicalizza il 'discrimine' di cui la 'Guerra', quale concezione e insieme pratica, costituisce in fondo l'evidenza, anche oltre, se vogliamo, lo stesso concetto di 'discrepanza', storicamente e sociologicamente elaborato dal filosofo tedesco Günther Anders, ben citato nel foglio di sala.
La bella drammaturgia in questione, “I monologhi dell'Atomica” di e con Elena Arvigo da “Preghiera per Cernobyl” di Svetlana Aleksievich (premio Nobel 2015) e da “Nagasaki” di Kyoko Hayashi, di questo ci parla, mostrandoci come le narrazioni minute ed intime di queste donne dolenti ma piene di forza e protagoniste in ogni senso, siano in grado di illuminare molto meglio e molto di più di tante 'analisi' l'orrore di un mondo prigioniero di un ricatto, quello dell'atomica i cui esiti spaventosi già accaduti sembrano non bastare a fermare la mano di una umanità cocciutamente cieca.
Il filo che guida questo sguardo è ovviamente quello del sentimento, che la continuità del femminile preserva e custodisce oltre ogni inganno della ragione, un sentimento ordinario che si fa extra-ordinario di fronte ad un dolore causato insieme dalla sete di denaro e da quella di potere che alimenta il Capitale, anche quando questo Capitale assume le forme 'deformate' del cosiddetto “Socialismo realizzato”.
Spettacolo in due quadri, dunque, nel primo dei quali la tragedia collettiva dell'esplosione della centrale di Cernobyl è raccontata attraverso l'amore di una moglie il cui marito, un vigile del fuoco, è mandato a morire nell'incendio nucleare senza alcuna protezione ma che conserva l'ingenuità di chi si meraviglia ancora per un frutto profumato donato da chissà chi. La donna perderà il marito e il figlio che porta in grembo, mentre le voci dei bambini contaminati mostrano l'ingenuo stupore di chi non sa ma impara.
Nel secondo un'altra donna, ma in fondo potrebbe essere la stessa donna, custodisce la memoria, guidata da ciò che ormai ci vergogniamo di chiamare 'amore', della tragedia e della sua propria salvezza dal rogo dell'atomica americana di Nagasaki, quasi come una sacerdotessa che ripete un rito di purificazione sperando si diffonda oltre sé stessa.
In scena una bravissima Elena Arvigo, efficacemente accompagnata da Monica Santoro, un suo alter ego che ripete (in russo) brani della sua parola, è capace di mostrarci il calore del sentimento dell'essere donna al di sopra e al di là del fuoco atomico, che brucia le carni ma è freddo come la lama di una spada che vorrebbe affondare nel cuore dell'Umanità.
La guerra, che di nuovo oggi si tenta di raccontare, mentre divampa ancora in Europa e fuori dall'Europa, come evento possibile per conquistare un futuro migliore, ci viene così mostrata dagli occhi di chi ama nostante tutto, per quello che è: la fine di ogni futuro.
Il miracolo sta nel piccolo e autentico fuoco che dovremmo, ciascuno, custodire nel cuore, e con esso nel racconto che si dipana nella relazione con l'altro, fino ad essere capace di una speranza senza ragione ma piena di affetto.
Un racconto che la scena riannoda e ripropone chiudendosi in un appello per la pace in Palestina e per fermare il genocidio a Gaza, augurandosi che nel suo 'piccolo' anche questo atto artistico possa risultare utile, un appello che, anch'io, nel mio piccolo, faccio mio e di queste mie poche parole, sperando che anch'esse possano in qualche modo servire.
Uno spettacolo autoprodotto dalla stessa Elena Arvigo con il supporto del Teatro delle Donne, in tournèe dal 2016 e quindi capace di mutarsi e modificarsi e di continuare a farlo.
Anche questo è significativo di un approccio estetico e artistico che vuole essere 'profondamente' libero, 'felicemente' riuscendovi, in un 'fare' tipicamente e interamente, ivi compresa la direttrice artistica del Festival, al femminile in 'continuità' con la parola delle stesse autrici che l'hanno ispirato e per così dire liberato in scena.
Nell'ambito del “Festival in una notte d'estate – percorsi: l'architettura della parola tra città e terra”, diretto da Daniela Ardini, il 23 luglio a Genova, nella suggestiva Piazzetta San Matteo con un pubblico commosso che ha a lungo applaudito.
I MONOLOGHI DELL'ATOMICA da Preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievich (premio Nobel 2015) e Nagasaki di Kyoko Hayashi, di e con Elena Arvigo con la partecipazione di Monica Santoro, scene e costumi Elena Arvigo in collaborazione con Maria Alessandra Giuri, aiuto regia Virginia Franchi, assistente alla regia Monica Santoro, produzione il Teatro delle Donne, Teatro Out Off e Compagnia Elena Arvigo. PREMIO LE MASCHERE DEL TEATRO ITALIANO 2023 COME MIGLIOR MONOLOGO.
Foto Jo Marn