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Giocando un po' in punta di metafora, in ciò aiutati anche dal nome assai particolare dell'evento, si potrebbe dire che questo Festival tra Sansepolcro e borghi vicini, diretto con mano accurata e occhio acuto da Lucia Franchi e Luca Ricci, fondatori della

“Associazione CapoTrave/Kilowatt”, e giunto quest'anno alla sua XXII edizione, è una sorta di strumento ben predisposto e ben tarato per misurare non solo e non tanto l'energia che il Teatro utilizza e di cui il Teatro abbisogna, ma soprattutto l'Energia che, appunto in chilowatt-ore o meglio in chilowatt-anni se non in chilowatt-secoli, il teatro produce e restituisce alla collettività trasformandosi in luce del cuore e luce della mente cosciente.
Infatti se così non fosse, restando in metafora, il bilancio energetico netto di questo appuntamento densissimo, costruito con 109 appuntamenti in vario modo accolti e con la presenza di ben 309 artiste e artisti in 8 giorni dal 12 al 20 luglio, non avrebbe potuto essere, essendolo stato, così positivo anche quest'anno.
Del resto, come scrivono nella presentazione i due Direttori Artistici, è un Festival che “contiene moltitudini”, epperò non tanto numeriche e quantitative quanto qualitative ed estetiche, talora felicemente conviventi tra loro dentro lo stesso spettacolo o lo stesso artista, in contraddizione con la tendenza corrente di qualificarsi e definirsi entro confini identitari, tra piccole patrie e gruppi virtuali, così stretti da essere alla fine funzionali alla globalizzazione capitalistica che ci vuole tutti subordinati ad un Pensiero Unico declinato in mille modi e disperso tra milioni di individui, classi e luoghi, con lo stesso effetto del boom economico (ma senza la sua distribuzione) sulle singolarità, quelle che con angoscia il compianto Pier Paolo Pasolini vedeva scomparire.
Una corrente che vuole risalire a sorgenti perdute che non alimentano più il fiume dei nostri pensieri e soprattutto dei nostri sentimenti. Non per niente Kilowatt ha inventato i “Visionari” proprio allo scopo di attingere a quante più falde possibili, tra quelle sprofondate nella moderna società 'carsica' e dunque 'arida'.
Segno di grande consapevolezza dunque l'aver scelto come uomo e poeta esempio, sorta di esergo in carne ed ossa, l'americano Walth Whitman ed i suoi versi che ripropongo: “ Mi contraddico? / Bene, allora mi contraddico (Sono enorme, contengo moltitudini)”.
Il quale grande scrittore ottocentesco, in questo anche lui straordinariamente visionario e utopico, ci ha inoltre lasciato, tra i canti di “Foglie d'erba”, anche un elegiaca “Poesia di molti in uno” (“Poem of Many in one”) che, evidentemente traslitterando il motto degli Stati Uniti d'America (E pluribus unum) chiude con questi versi: “Io metto a confronto il mio spirito con il vostro, voi astri, civiltà, montagne, animali. / Io imparerò perché la terra è grezza, seducente, maligna / Ed io ritengo che voi siate mie, voi bellissime, terribili, primitive forme”.
Tornando però all'oggi, ma altrettanto significativamente, i padrini del Festival sono stati Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, due “Maestri della scena nazionale ed europea” che hanno portato il loro singolare contributo al Festival, oltre a due incontri pubblici sulla loro opera, e cioè “La Belva nella Giungla” e “La lunga strada di Sabbia”.
Una serie così nutrita di spettacoli, tra danza, performance e drammaturgia con o senza parola, che è difficile se non impossibile dare pieno riscontro di tutti da parte di una sola persona.
Così, obtorto collo e senza voler far torto agli altri, ho scelto quattro spettacoli tra quelli visti nella mia tre giorni al Festival.

MISERELLA / Teatro dell'Argine
Colpiscono di questo spettacolo innanzitutto il contenuto della narrazione che affronta uno degli aspetti del femminile nella modernità, essenziale soprattutto per la sua capacità di rivoluzionare e anche sovvertire il concetto di sé e la consapevolezza di una condizione che si affaccia e in fondo supera, per la sua stessa natura, il “Patriarcato” ed i suoi stereotipi imprigionanti, in fondo una sorta di libertà vigilata per saggiare le proprie inaspettate ma irriducibili potenzialità.
Questo contenuto narrativo (e questo aspetto del femminile) è l'invecchiamento che la cosiddetta menopausa, ancora incardinata e anche inchiodata sul mito molto maschile della fecondità, ed il suo oltre definisce ma insieme smaschera, nel senso proprio di togliere la maschera ad uno status sociale imposto ma anche profondamente introiettato.
Uno stereotipo che ne ha generato un altro, un suo sorello gemello mi si permetta il gioco grammaticale, quello della bellezza/giovinezza che si è però modernamente scisso (come scissa è la sua percezione) da quello arcaico della procreazione, generando una sorta di corto circuito all'interno dello stesso patriarcato dominante (e ormai sempre più declinante) di cui la drammaturgia tra fine '800 e inizio '900 è indelebile segno, tra la donna/angelo e madre e la donna/prostituta e amante.
Il paradosso che questa drammaturgia rivela è proprio quello che l'età 'oltre', l'invecchiare dunque, non solo rivela lo stereotipo per quello che è, ma è anche in grado di superarlo e liquidarlo a favore sia di chi questa età (in un certo qual senso nuova grazie alla crescita esponenziale delle aspettative di vita) affronta e naviga, sia di chì sarà chiamata a navigare quel mare il cui orizzonte può assicurare già ora una inaspettata (e purtroppo tragicamente contrastata come dimostrano i troppo numerosi femminicidi) libertà.
L'affascinate esito scenico, e qui veniamo al secondo importante elemento di interesse questa volta estetico e drammaturgico, peraltro non è per niente casuale avendo attraversato anch'esso il tempo come le generazioni. È infatti il frutto di un progetto nato nel 2020 (Premio UBU 2020/2021 appunto “per il progetto politico poetico”) e che ha riguardato la scena a partire da una immersione nella società delle donne, attraversate dal batiscafo silenzioso ma non silente di numerose interviste, quasi un censimento ampio di esperienze dell'invecchiamento nel fisico e nel corpo, essendo questo inevitabilmente generato dalla 'giovinezza'.
Le quattro attrici, guidate dentro e fuori la scena dalla regista Micaela Casalboni, danno corpo e voce a quell'attraversamento e a questo approdo, costruendo una sorta di riparata baia di parole (la drammaturgia è a quattro mani con aggiunta quella di Nicola Bonazzi a preservare anche un punto di vista maschile) e di gesti performativi in cui far approdare una nuova(eterna) idea di sé, talora oltre la stessa Storia e le stesse storie.
Attorno alla scena, in audio, brani di quelle interviste assecondano e in fondo legittimano l'intera drammaturgia con un effetto straniante.
Si scopre così che questa nuova età del femminile non è fatta solo di quelle inevitabili perdite di cui si è detto, ma anche di tante conquiste inaspettate, da una sessualità più libera in quanto svincolata da ogni rischio/dovere, alla conquista di un tempo interiore in uno spazio esteriore finalmente sgombro da quegli impegni generati dagli stereotipi e che insieme generano in continuazione pesanti stereotipi.
Ma in proposito mi piace ricordare una domanda, anzi due, che molte di noi si sono fatte sin da bambine: “Perché si parla prevalentemente dell'invecchiamento delle donne? Forse che non invecchiano anche gli uomini?”
Un'ulteriore bella prova del Teatro dell'Argine, ma non ci meraviglia, uno spettacolo che è anche una prima risposta a quelle due piccole domande.
MISERELLA, parole di Caterina Bartoletti, Nicola Bonazzi, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi, con Caterina Bartoletti, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi, regia Micaela Casalboni, collaborazione alla regia Andrea Paolucci, scenografia Nicola Bruschi, costumi Sabrina Beretta, musiche originali Davide Sebartoli, luci William Sheldon, cura del gesto coreografico Daniele Ninarello, assistente scenografa Carmela Delle Curti, assistente alla regia Laura Gnudi responsabile di produzione Francesca D’Ippolito.
Sabato 13 luglio nel Teatro alla Misericordia di Sansepolcro.

LA CANTAUTRICE FANTASMA / Ivan Talarico
Smascherare l'equivoco (sia sostantivo che aggettivo) attraverso un equivoco è l'interessante idea alla base di questo monologo drammaturgico di un autore e cantante proposto da “L'Italia dei Visionari”. Questa “indagine patafisica sull'autorialità”, come si definisce in esergo, utilizza infatti quella specifica bretoniana sintassi estetica, capace di far sembrare vero (talora facendolo diventare vero) ciò che la fantasia e l'immaginazione generano sotto lo stimolo del mondo quale ci si presenta. È la storia totalmente verosimile di una bravissima cantautrice cui vengono plagiate le creazioni, in modo così reiterato che alla fine lei stessa diventa un autore fantasma mai approdando alla nostra conoscenza. Che sia vita vissuta (e non lo è) o meno, è ininfluente all'arte scenica, poiché quella storia non ha bisogno di essere vera per essere fino in fondo perspicua della nostra modernità. Una modernità in cui la soggettività, che naviga in un mare di conformismo da tribù di followers in fondo disperati, è inevitabilmente costruita da pezzi di noi sottratti e rubati ad altri. Tra monologo ed elegia musicale lo spettacolo si dipana intorno alla solitudine della creatività, purtroppo inadatta all'oggi ma ancora capace (almeno lo speriamo) di diventare pietra di inciampo di una perversa 'globalizzazione' della nostra mente e del nostro cuore. Bravo l'autore e protagonista che sa mettere a frutto in suoi diversificati talenti di narratore, che sa ben maneggiare la parola, e di cantante.
LA CANTAUTRICE FANTASMA, di e con Ivan Talarico, grazie a Roberto Castello, Aldes, Giulia Zeetti.
Sabato 13 luglio all'Auditorium di Santa Chiara.

DIOSCURES / Marta Izquierdo Munoz (danza) (Foto Del Pia)
Una sorta di saga del doppio che affonda alle radici stesse del mito dei gemelli figli di Zeus, Castore e Polluce, ma che lo stesso mito e la storia ha saputo declinare nei mille modi dello sguardo reciproco e speculare, denominandolo nei nomi (Eteocle e Pollinice ovvero Romolo e Remo solo per fare due esempi) di attrazione/contrasto che si realizza nell'altro esteriore ma appartiene alla nostra intimità e sembra condurre inevitabilmente alla morte. Un filo che attraversa l'intera storia dell'umanità fino al mimetismo di Renè Girad. Tra i Dioscuri sorge uno sguardo che si perde nella rifrazione del sé che dimentica l'altro, trasformandosi spesso nell'autocompiacimento inerme e sterile di un Narciso perduto nella sua fonte. Una specularità che sembra assorbire la stessa diversità di genere che si mescola e ri-mescola nei caratteri e movimenti coreografici tra l'androgino e l'ermafrodito, capaci di 'raccontare' il mito senza usare la parola. Bravi oltre la tecnica i due interpreti che a fondo 'capiscono' la raffinata coreografia della Munoz.
DIOSCURES, ideazione e coreografia Marta Izquierdo Muñoz, con Thibaut Michel, Ébène, luci Anthony Merlaud, musiche e suono Benoist Bouvot, direzione tecnica Alessandro Pagli, assistente Eric Martin, scene Alexandre Vilvandre, accessori François Blaizot & Pascal St-André, drammaturgia Robert Steijn.
Sabato 13 luglio nel Chiostro di Santa Chiara a Sansepolcro.

AI LOVE, GHOSTS AND UNCANNY VALLEYS <3 / Mara Oscar Cassiani (video)
Perturbante e insieme ipnotica, questa performance digitale ci presenta un mondo insospettabile (al meno per chi è non è aduso a perdersi nella virtualità) che, grazie agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, permette non solo di costruirci una identità virtuale (fasulla?) assemblata con le più diverse provenienze, ma addirittura è in grado di proporci compagne di vita anch'esse assemblate con pezzi (letterale, anche in senso fisico) di identità altrui, rubate al loro senso originario (senza che i loro portatori lo sappiano) e funzionali al nuovo che desideriamo. Apprendiamo così che esistono circoli di persone che ordinano donne virtuali con le caratteristiche desiderate, ci convivono (ahimé) fino a quando non si stancano e le fanno morire (ed è questo, secondo me, il termine più appropriato pur se parliamo di non 'viventi'). Sono circoli perduti nelle profondità di un'America alla Cormac McCarthy, ad esempio del “Guardiano del frutteto”, fatti di gente solitaria che esce di casa solo per lavorare ed è priva (ovviamente) di vere relazioni sociali. Sembrano relazioni di sfruttamento (anche economico) meno crudeli poiché rivolte a veri propri avatar, non a persone, in realtà sono ancora più crudeli perché tendono a produrre una auto-sufficienza che non sfocia però nell'onnipotenza ma bensì nella talvolta crudele 'impotenza'. Ci si può ribellare? Le poche parole che presentano questo eterodosso spettacolo, che è anche una drammaturgia, e che recitano: “Ho rotto con la mia itelligenza artificiale e non la scaricherò più”, ci fanno sperare in una tendenza alla 're-umanizzazione' che anche il teatro accoglie.
AI LOVE, GHOSTS AND UNCANNY VALLEYS <3 di Mara Oscar Cassiani, produzione Re:Humanism 2023, Associazione Culturale Super Bubble, menzione speciale Salvatore Iaconesi– Re:Humanism, si ringrazia Oriana Persico, La Mama Umbria, Spazio Zut, Lavanderia a Vapore, Studio Sandroni, Otto Ascani, Matteo Ascani, vincitore del bando Residenze Digitali 2023.
Domenica 14 luglio all'Oratorio si S.M, Delle Grazie.