“Sette a Tebe. Un terribile amore per la guerra”, ispirato alla tragedia di Eschilo, è uno spettacolo denso di pensiero e affascinante. Lo si è visto a Segesta il 17 e il 18 agosto nell’antico Teatro Greco di Segesta e nel contesto del Segesta Teatro
Festival 2024. Regia e drammaturgia sono di Gabriele Vacis, mentre il testo è elaborato, in evidente e sostanziale dialogo, con la compagnia. In scena ci sono Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera, una compagnia di giovani che nasce nel 2021 da una classe della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino e si chiama Pem, acronimo di “Potenziali evocati multimediali”. Scenofonia e allestimenti sono di Roberto Tarasco, la cura dei suoni è di Enrica Rebaudo. Inutile dire che uno spettacolo del genere replicato in uno spazio bello da togliere il fiato e denso di storia come il Teatro Greco di Segesta acquista un plus di incanto che è quasi impossibile descrivere. Perché definire denso di pensiero e affascinante questo lavoro? Per almeno tre motivi: perché ci ricorda che la regia teatrale, molto prima d’essere un processo di coordinamento e formalizzazione scenica del lavoro degli attori e degli altri elementi costitutivi di uno spettacolo, è un lavoro di approfondimento intellettuale e di rielaborazione mimetica e creativa di una lettura della contemporaneità; perché ci conferma che mettere in scena un testo della drammaturgia classica (in questo caso Eschilo) o ripercorrere drammaturgicamente un mito non può essere un’operazione ingenua e non può fare a meno di uno scavo nella sostanza paradigmatica (e quindi semplificatoria), identitaria e politica del racconto mitico; perché ribadisce che il lavoro degli attori, anche quando siano grandi professionisti, non risuona in un contesto privo di autentica densità intellettuale, mentre al contrario uno sguardo colto e sapiente può cogliere la poesia insita nella presenza scenica acerba di attori anche inesperti e farne risuonare di cultura e di emozioni la giovanile freschezza. Detto ciò, non ci sarebbe molto altro da dire su questo spettacolo se non chiarire le fonti da cui esso sembra sgorgare e dispiegarsi come processo di riflessione critica/creazione: da una parte l’osservazione della realtà attuale, dall’altra la riflessione sul mito. Oggi, tra i molti conflitti in corso nel mondo, ci interpellano con cruenta urgenza soprattutto il conflitto in Ucraina e il massacro dei Palestinesi a Gaza operato da Israele per vendicare l’azione della formazione terroristica Hamas del 7 ottobre 2023. D’altra parte la sostanza archetipica di quel “terribile” invincibile e apparentemente irrazionale “amore per guerra” sembra rispondere alla domanda sul senso profondo di questi e di altri conflitti contemporanei, data la loro palese e insanguinata irrazionalità. Un “terribile amore per la guerra” che attraversa per intero la storia degli uomini e che Vacis rilegge servendosi creativamente della riflessione di James Hilmann contenuta nel saggio omonimo pubblicato in Italia nel 2005. Il plot drammaturgico, da cui i giovani interpreti entrano ed escono come danzando, leggeri di vita passata e futura e pesanti d’angoscia e d’interrogativi senza risposte, è la tragedia eschilea e val la pena di ricordare che questo spettacolo fa parte di una trilogia elaborata da Vacis per Pem che vede prima di esso un “Prometeo” e un’“Antigone e i suoi fratelli”. Questa danza continua e, a suo modo, misteriosa è dunque lo spettacolo nella sua sostanza più profonda e davvero poco rilevano le imperfezioni di recitazione e di movimento, gli accidenti formali, le semplificazioni un po’ ideologiche. Si tratta di un continuo immergersi nel mito (anche l’Iliade è utilizzata) e uscirne per guardare al presente personale, collettivo, politico (le nostre vite, le nostre società, i nostri nuovi miti, le guerre, i nomi delle armi contemporanee). Si tratta di un continuo interrogare il mito e interrogarsi, di un continuo cantare e intrecciare voci antiche e passi, intrecciare immagini mitiche, tracce e ferite attuali e lasciare, infine, che le risposte sgorghino da sole e si condensino nella consapevolezza che il persistente amore degli uomini per la guerra può essere contrastato efficacemente solo dalla certezza che l’opposto della guerra non è la pace, ma esattamente la vita. Una consapevolezza definitiva, adulta e comunque inevitabilmente fragile. Mi chiamo Davide, Andrea, Lucia, Pietro, Eva, Erica, Enrica, Edoardo, Letizia, Lorenzo, Gabriele, ho vent’anni, ho la mia storia e quella preziosa della mia famiglia (quasi sempre attraversata dalla guerra), sono qui e sono vivo. Sono Vivo. Non è poco: diventarne consapevoli non è poco.
Un terribile amore per la guerra
ispirato alla tragedia di Eschilo Sette a Tebe da Eschilo.
Drammaturgia di Gabriele Vacis e PEM. Autore Gabriele Vacis e PEM. Con Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera. Regia di Gabriele Vacis. Scenofonia e allestimenti Roberto Tarasco. Cura dei cori Enrica Rebaudo. Fonico Riccardo Di Gianni. Produzione Compagnia A. Artisti associati Soc. Coop
Foto Giuseppe Di Salvo