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Rivista, Festival, Premio una triade feconda che per la terza volta si è ri-unificata nell'evento al teatro Elfo Puccini di Milano, dal 17 al 22 settembre 2024. Dice di sé, come sua vocazione, che è un “Focus sulla scena italiana under 35” che

istituzionalmente esclude, senza essere un paradosso, appunto la scena più 'istituzionale', quella delle produzioni dei Teatri Nazionali, dei Tric e degli Stabili, nonché, insieme a queste, studi, anteprime e opere in progress.
Privilegia dunque il frutto, talora assai profumato, degli 'indipendenti', il frutto, restando in metafora, di un albero che va curato, irrorato e preservato, senza il quale anche gli assai più 'politici', in senso ampio, circuiti ufficiali rischiano di deperire e seccare.
Un lavoro complesso quello della redazione e della Direttrice di Hystrio, Claudia Cannella che insieme proprio per questo hanno meritatamente vinto il “Premio Franco Enriquez 2024”,  poiché va a sondare il teatro in ogni suo genere, dalla drammaturgia di parola, alla performance, dal teatro di figura a quello che ancora cerca di rinnovare la più tradizionale struttura 'dialogica', per dirla con Peter Szondi, saggiando, come scrive la direttrice, la “qualità” in ciascuno di essi.
Un lavoro che però ha trovato, in pochi anni, una risposta convincente dal pubblico e dalla critica, dai teatranti agli affascinati spettatori, crescendo in dimensione e condivisione, mentre si addentrava, alimentandoli, nei mille rivoli della creatività teatrale.
Molto ricca è stata quest'ultima edizione, negli spazi funzionali di un teatro, l'Elfo Puccini, che è man mano diventato un centro di rinnovamento della 'immagine' del teatro, una immagine che, come insegna l'etimologia, non è 'apparenza' ma il concreto legame tra chi il teatro fa e chi del teatro usufruisce, se mai si potesse distinguere tra questi due poli.
Ma c'è un di più in questo evento, ed è la possibilità di incontro che offre, tra chi è già affermato ed i più giovani che cercano la loro strada, rompendo la barriera invisibile ma robusta che spesso divide, dentro e fuori il mondo del teatro, questi due ambiti.
Dunque 6 giorni, 10 spettacoli e 6 letture sceniche che danno, grazie anche alla collaborazione di Tindaro Granata con la sua “Situazione drammatica/Progetto il copione”, un quadro variegato degli stimoli e delle suggestioni che attraversano il mondo Under 35, offrendo loro una occasione di visibilità spesso preclusa dalla difficile situazione economica che quel mondo, talora escluso da concreti e esili sostegni, attraversa.
Numerose infatti anche le collaborazioni istituzionali che hanno, appunto, il fine di promuovere la distribuzione degli spettacoli di artisti under 35, per offrire anche a loro, come si dice in gergo, una 'ribalta'.
Direi che nel complesso anche questa edizione è stata un successo, e dalla mia breve condivisione, nella sua parte finale, traggo con questo diario alcuni spunti critici.

TRE LIRICHE / Eat the catfish-Ac Xenia (foto Camilla Vazzoler)
Una drammaturgia sull'amore con la a minuscola, senza per questo sminuirlo ma solo in quanto  cerca di attenuare esteticamente ogni metafisica per abbarbicarsi, quasi disperatamente, alla psicologia. Un amore indagato nella sua relazione con la paura di vivere (e quindi di morire) che la Pandemia recente, periodo nel quale lo spettacolo è stato concepito, ha accentuato strascicando fino all'oggi. L'uno un sentimento, una forma dell'esserci, l'altra una relazione, una forma del mondo in cui l'esserci si trova ad apparire. Dunque da una parte il desiderio di preservare l'amore quasi nascondendolo al mondo, coprendolo di segreti ed enigmi per renderne difficilissima la decifrazione per l'altro (spesso anche per il suo oggetto), dall'altra la percezione che senza un mondo in cui potersi appunto relazionare questo sentimento, anche se robusto e all'apparenza autonomo nelle sue intime radici, può essere destinato prima ad una dolorosa perversione e poi all'estinzione. La scrittura utilizza la parola come una lente rifrangente che 'finge' tre storie diverse, una tripartizione che è segno nascosto di una unità, quella del soggetto e dell'identità che si manifesta in modi e forme, quella razionale, quella emotiva e quella inconscia, differenti nell'apparire ma identiche nell'essere, ciascuna con il suo canto, con la sua lirica appunto. La scena le amalgama mostrandocele nella loro 'differenza'. Ma c'è, a mio avviso, un altro elemento di interesse, che emerge più che dalla parola dal suo suono, diversamente modulato dalla recitazione, una sorta di contro-canto che insieme la desidera e la nega. È la sottile 'disperazione' che sembra attraversare le giovani generazioni, segnate più delle altre da Covid e Lockdown, una disperazione di futuro che, ironicamente, porta a progressivamente 'svalutare' l'amore, sentimento che esiste solo se riesce a guardare non tanto all'adesso ma soprattutto al dopo. Una ironia che il mondo accentua quando 'disprezza' il sentimento a favore di un presunto edonismo che sembra il trionfo della libertà individuale ma in realtà è solo una schiavitù, eterodiretta, tra potere e denaro, da quella sorta di pensiero unico che ci soffoca. Questo spettacolo ha il merito di saper ancora lottare, con fatica e sofferenza, contro quel pensiero alienante, conservando almeno, come gli uomini libro di Fahrenheit 451, il segno estetico di quell'amore 'possibile'. Uno spettacolo bello e di qualità, dalla trama testuale e scenica porosa e insieme luminosa nell'oscurità del palcoscenico, ben diretto e ben recitato. Da segnalare Chiara Ferrara che ha non a caso vinto il “Premio Mariangela Melato per giovani attori” ancora una volta ospitato in questa edizione. Molto applaudito

Drammaturgia e regia di Jacopo Neri, musiche di Enrico Truffi, con Chiara Ferrara, Dario Caccuri, Jacopo Neri. Produzione Eat the catfish-Ac Xenia, Roma. Spettacolo vincitore dei festival Direction Under 30 (2023), Intransito (2023) e Pillole (2023), finalista al festival In-box (2024).
Alla Sala Bausch del Teatro Elfo Puccini, sabato 21 settembre alle ore 21.

FAR FAR WEST WEST / Riccardo Favaro
Destrutturare, o come lo stesso drammaturgo dice, “decolonizzare” il mito americano, quello che dalla lontana “Frontiera” di occidente si dipana aggrovigliandosi come una piovra sull'intero mondo culturale e non solo, è l'intenzione apprezzabile di questa lettura scenica che si trasforma un po' alla volta quasi in drammaturgia piena, tra luci, tonalità recitative e immaginate scenografie, cui manca solo il movimento. Un titolo doppio a ricordare un doppio speculare, ma forse anche ad enfatizzare, come nell'onda dell'eco, le corrispondenze tra noi e il Mito. Per affrontare questo mito stratificato come una grotta carsica e appunto dai mille rivoli di colonizzazione, culturali in primis ma soprattutto di egemonia economica, il drammaturgo cerca di appropriarsi, più che della lingua, dei luoghi dei grandi dissacratori interni al mito stesso, i topoi della migliore letteratura americana, da Whitman a Melville ed il male invincibile, da Conrad (ancora più significativo perché americano non era) all'ultimo di tutti, quel Cormac McCarthy recentemente scomparso. Sceglie, poi, per questa Fattoria perduta nel tempo e nello spazio il tema della denegazione della realtà quasi che il plot tra l'horror e il thriller (Riccardo Favaro si mostra grande appassionato del cinema americano di 'genere') costituissero un innesco esplosivo per le mura portanti del mito stesso, pur essendone in fondo una metastasi. Perciò è proprio qui che il meccanismo drammaturgico mostra di incepparsi, scivolando nel consueto della sparizione e della mancata agnizione (il figlio piccolo trovato cadavere ma ostinatamente non riconosciuto se non dal padre) e mostrandosi così esteticamente meno attraente e attrattivo rispetto all'obiettivo ambizioso che si è posto, in fondo rifugiandosi un po', di fronte al compito difficile, nei luoghi comuni che quel mito ha seminato a piene mani. Un contrasto stridente tra l'insieme scenico gradevole e ben strutturato e il nucleo della narrazione che in esso si perde e sfibra, anche talvolta nella noia. Una strada lastricata di buone intenzioni ma che, io penso, necessita di una 'manutenzione'. I cinque protagonisti in scena, infatti, sono da parte loro abbastanza 'personaggi' da arricchire efficacemente la messa in scena. La drammaturgia invece necessita, come la strada, di una revisione. Accoglienza contrastata.

Di Riccardo Favaro, con Elena Ghiaurov, Alessandro Bandini, Giulia Heathfield Di Renzi, Marco Mavaracchio, Flavio Capuzzo Dolcetta. Lettura scenica a cura di Associazione Situazione Drammatica/Progetto Il Copione.
Alla sala Fassbinder del teatro Elfo Puccini, sabato 21 settembre alle ore 22.

TRAGEDIE COREENNE OVVERO L'AMOUR A LA FRANCAIS / Matthieu Pastore
Un classico “Dramma borghese” dei tempi che furono trasferito nell'epoca antropocentrica del post-moderno, così si presenta questa drammaturgia linguisticamente e sociologicamente sospesa tra due mondi, di entrambi i quali il drammaturgo partecipa. Una tragedia di giovani e disinvolti “expats”, come li chiamano oggi, che dalla Francia si trasferiscono in Corea all'inseguimento di un benessere economico che sembra diventato l'unico obiettivo di una vita che si possa meritare questo nome. Eppure qualcosa manca, perso per strada. Ne nasce un ribaltamento ironico per il quale l'individuo, con i suoi sentimenti diventati quasi preistorici reperti, non sembra più in grado di opporsi in qualche modo 'autentico' al ruolo che la Società gli affida, la maschera pirandelliana che qui è il comfort di una esclusiva vita borghese in un grazioso “loft” a Seul, ma al contrario lo alimenta di continuo di stereotipi che lui stesso produce incessantemente irrigato dalla virtualità dell'oggi, innescando così una sorta di corto circuito che lo fa, e noi con lui, precipitare nel buio. Anche l'amore, poiché non conosciamo più alcun altro linguaggio al di fuori di quello che ci viene insegnato da 'altri', ne viene triturato e con esso la proattività creativa che a partire dal femminile si realizza nella procreazione. La maternità infatti si fa fluida, confinata tra sogno e incubo, tra desiderio e paura, stereotipata espressione di una coppia divenuta 'sentimentalmente' sterile. Diventa un dubbio, un mistero affidato al pubblico, ultimo giurato. Ma come tutte le”Commedie Borghesi” che si rispettino non può mancare il triangolo, qui singolarmente rappresentato dalla figura del maggiordomo, sempre in controscena e quasi silenzioso e prospettico testimone 'ragionatore' di tutta la narrazione che senza di lui vive ma che senza di lui fatica ad esistere. In effetti se all'apparenza può sembrare, questo terzo personaggio, poco più che un “servo di scena”, in realtà produce frizioni e scarti che danno profondità alla narrazione, sciogliendola dai vincoli della tradizione, ma ancor più introducono prospettive e nuovi angoli di visuale originali di cui può fruire anche il pubblico. Non a caso questo personaggio, che appare e scompare sistemando oggetti o aspirando pavimenti virtuali, canticchiando e rumoreggiando, è interpretato dallo stesso drammaturgo. È stata dunque una “mise en espace” ben strutturata, quasi oltre sé stessa, con una scenografia ridotta ma fortemente espressionistica in cui l'intimità che lega i personaggi esplode quasi con violenza, con movimenti scenici, come detto, raffinati, e infine valorizzata da una recitazione all'altezza. Una scrittura singolare e intelligente, giustamente premiata. Assai apprezzata dal pubblico presente.

Di Matthieu Pastore, regia di Claudio Autelli, con Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti, Matthieu Pastore. Testo vincitore del Premio Hystrio Scritture di Scena 2024.
Alla sala Shakespeare del teatro Elfo Puccini, domenica 22 settembre ore 18,30
 
A seguire la premiazione, anzi le premiazioni nelle diverse e numerose sezioni, alcune in parte già anticipate nel resoconto degli spettacoli. Rimandiamo al comunicato stampa della serata per l'indicazione dei vincitori, ma per concludere, ci piace segnalare oltre ai tre principali (Carmine Maringola, recitazione, Carmelo Rifici, regia, e Linda Dalisi, drammaturgia) il “Premio Hystrio-Altre Muse”, per progetti e professioni del teatro, andato quest'anno ad una realtà periferica fin che si vuole ma molto creativa e produttiva, “Fuori Luogo La Spezia” nata e cresciuta sotto gli occhi attenti di Andrea Cerri, oggi Direttore Artistico, Michela Lucenti e Renato Bandoli.