Indipendentemente dall’essere il protagonista, o l’antagonista o l’oppositore o ancora l’aiutante, il personaggio teatrale nelle varie micro azioni di una fabula può trovarsi nella situazione attiva se agisce, in quella passiva se “è agito”. Gli esempi sono
innumerevoli, e qui come spesso mi accade preferisco riferirmi a testualità della letteratura teatrale e della drammaturgia italiane. In particolare voglio ricordare Napoli milionaria! di Eduardo De Filippo, il cui protagonista Gennaro Jovine è per tutta la commedia in una continua situazione di passività: eventi (la guerra con tutte le conseguenze che comporta) e persone (come la moglie e i figli, e i vicini del “basso”), lo mettono da parte, poco lo ascoltano, perfino l’essere stato fatto prigioniero dai nazisti non induce gli altri ad alcun moto di empatia nei suoi confronti, verso il suo essere un esule. Insomma, Gennaro si presenta dall’inizio come personaggio passivamente perdente anche se ha una buona capacità riflessiva e di ragionamento, e una sua saggezza tutta meridionale, da <<Pupo>>, o da Grillo parlante collodiano. Ciò fino a che la malattia della figlioletta Rituccia non metterà in crisi la famiglia, e in particolare la moglie Amalia al punto tale che Gennaro assume finalmente il ruolo “attivo” di capofamiglia, la sua identità di pater familias. Per inciso va detto che molto influì in tale dinamica di trasformazione l’influsso della lezione pirandelliana, che molto ha insistito sulla parabola drammatica dei suoi personaggi che solo faticosamente concludono con consapevolezza di protagonista la loro storia. E qui mi pongo un interrogativo: per la attuale sensibilità culturale, per l’antropologia delle persone che vivono in Occidente, avrebbe senso compiuto una scelta simile? O meglio sarebbe fissare lungo tutta la fabula un gioco di rimbalzi continui fra chi agisce e chi è agito?
Qualsiasi personaggio può essere classificato in base a degli stereotipi, ad esempio:
eroe romantico, “cattivo”, pazzo, vittima degli altri, spaccone, e così via. Anche in questo caso gli esempi sono innumerevoli. Quel che conta non è a mio parere che il lettore/spettatore si renda conto di una personificazione di questo tipo, essendo quasi sempre riconoscibile da subito e in base alla stessa tradizione teatrale occidentale. Si pensi infatti ai testi plautini dove la stereotipia la fa da padrona. Conta piuttosto se a livello realizzativo scenico simili personaggi possono essere credibili ed efficaci in ordine alla massiccia presenza dai primi del ‘900 del pensiero psicologico e psicanalitico. Anche qui invito il lettore a cercare le risposte, le quali non possono che rinviare anche alle impostazioni di genere: dal tragico, al comico, al satirico, all’umoristico, e così via. Mi sembra comunque scontato che oggi come oggi i personaggi stereotipati possono ben funzionare sul piano comico, oppure essere personaggi contrassegnati da caratteristiche psicopatologiche.
Altro elemento importante per inquadrare in completezza un personaggio inventato da un drammaturgo (e/o anche da un attore o da un regista), è la sua posizione prevalente occupata nello spaziotempo del mondo drammatico immaginato: vale a dire quali attributi familiari, sociali, personali, affettivi, sentimentali lo identificano maggiormente.
E’ un genitore, o un nonno o nonna, è marito o moglie, è un amante? E’ una persona socialmente di spicco? Molto ricco, o molto povero? Un politico potente? Un nobile? O è un piccolo borghese? Vive in città o in campagna? E così via. Lungo la storia della drammaturgia e del teatro occidentali ovviamente le tipologie sono molte e molto diversificate, e non mi pare il caso qui di esemplificare, per cui lascio al lettore la libertà di identificare qualsivoglia tipologia. Comunque va ricordato che un bravo drammaturgo non crea nulla per caso, specie quando esprime il desiderio di incidere sulla realtà, sulla Vita, per immaginare, intuire, mostrare nuove istanze etiche, politiche, religiose. Molti significati, poi, provengono dal contesto di vita immaginato dal drammaturgo, e ovviamente il tempo storico e l’area geografica con le sue caratteristiche etnoantropologiche.
Un esempio lo voglio comunque fare riferendomi allo shakespeariano Giulietta e Romeo: si pensi alle varie caratteristiche identitarie dei due giovani: sono appunto giovani; sono nobili; appartengono, da figli, a famiglie che si odiano; sono amanti: è chiaro che il Bardo in questa tragedia punta all’affresco, in tante molteplici sfumature…