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“Pinocchio, che cos’è una persona?” di Davide Iodice è uno spettacolo interessante e ricco di senso. L’interesse e il fascino di questo lavoro nascono dalla presenza in esso di due tensioni costruttive e convergenti: da una parte una precisione quasi

geometrica nel definire e nominare i cardini concettuali di quanto si porta in scena, dall’altra un uso connotativo – e quindi poetico - dei segni di una scrittura teatrale complessa, meditata e assai evoluta. Segni che esplodono incontrandosi (la croce sulle spalle di quel bambino /burattino /creatura e il naso lungo, i libri e la scuola che non danno le risposte che ci servono, le luci, il teatro dei burattini, il pezzo di legno grezzo, i colori, le musiche e il camminare a coppie e danzare e giocare e gli animali che sembrano volare e partecipare alle emozioni). Segni che si moltiplicano, s’incastrano reciprocamente e dilagano, quasi lasciandosi alle spalle il riferimento testuale, muovendosi in una direzione che sembra derivare piuttosto da importanti suggestioni pittoriche. Lo si è visto nel fine settimana tra il 27 e il 29 settembre a Napoli, sulla scena del Teatro san Ferdinando e nel contesto della Stagione del Teatro Nazionale. Iodice è una delle figure più autorevoli della nostra scena e questo spettacolo si sviluppa sul terreno che gli è più congeniale, ovvero quello del rapporto con la diversità e la fragilità che ha sviluppato in tanti anni di laboratorio, ascolto, osservazione, creazione e poesia nella sua amatissima Scuola elementare del Teatro.
Non si tratta di una riscrittura del romanzo di Collodi (che già di suo è un universo di significazioni e archetipi), ma di una sua re-immaginazione a partire dalla dimensione “creaturale” di Pinocchio come persona: una re-immaginazione che trasfigura i materiali di Collodi, li ripensa e li imposta su due cardini di senso, ovvero il “desiderio” e il “dopo”. L’umanità è desiderio, una persona è desiderio, ogni persona – qualunque sia la sua condizione di vita - è il suo desiderio, ogni vita umana è desiderio. Da qui si deve partire se si vuol capire che cos’è una persona nella sua unicità, se si vuole entrare nel mistero fitto della sua irriducibile diversità, della sua potenza creativa e, al contempo, della sua fragilità, delle difficoltà che vive e che il contesto socio-culturale gli mette sulle spalle. Una croce pesantissima: quasi a voler schiacciare quella persona e zittire il grido del desiderio che urge dentro. Questo vale per tutti certo, ma vale soprattutto nel caso di una persona disabile o diversamente abile: “normalizzare” il desiderio, limitarlo, non permettere che sbocci in tutta la sua luce e bellezza. In scena ci sono ragazze e ragazzi diversamente abili o disabili che sono essi stessi dei Pinocchio (i loro nomi sono tutti buffamente e teneramente ridefiniti in “occhio”), sono tutti quel pezzo di legno grezzo che Geppetto vorrebbe far diventare figlio e bambino, e con loro in scena ci sono madri, padri, amici, fratelli, tutori che condividono la dimensione del desiderio (attraversato, negato, vissuto con fatica). La vivono insieme con quei loro figli e fratelli la dimensione del desiderio, e la vivono per esaudirla e superarla, con la stessa fatica che è servita a Geppetto a sgrossare e sagomare quel pezzo di legno grezzo. Resta implicita, anche se abbastanza evidente, una riflessione libera e aperta sulla “genitorialità” come condivisione e responsabilità amorosa invece che come gestione, magari autoritaria, dello sviluppo altrui.
E poi c’è la dimensione del “dopo” che la ferita più grande per chi – genitore, tutore, amico, compagno, fratello, sorella - si trova ad amare una persona disabile o diversamente abile: «...cosa gli/le accadrà dopo? Dopo, quando io non ci sarò più a proteggerla». Una vertigine di dolore, anche solo a pensarci., Non deve sfuggire però anche sotto questo profilo la dimensione politica di questa questione, per quanto avvolta nel dolore. Nel nostro paese nel 2016 è stata approvata una legge che prova a dare delle risposte civili a questa domanda, ma è chiaro che la risposta a cui si pensa qui non può, e forse non deve, venire soltanto da una legge. Quel che occorre è l’impiantarsi - profondo e globale - di una cultura che consideri definitivamente la diversità come valore positivo e, appunto, la felicità come la sola concepibile “normalità” di chiunque. Quanto possa essere utopistica questa risposta è facile comprenderlo certo, eppure la felicità vissuta ed espressa dagli artisti che interpretano questo spettacolo ce la comunica come presente, tangibile, cercata tanto amorosamente quanto rigorosamente, ce la comunica come viva, desiderante e strutturalmente rivoluzionaria.

Pinocchio, che cos’è una persona?
27, 28 e 29 settembre, Napoli Teatro san Ferdinando.
Ideazione, drammaturgia e regia di Davide Iodice. Con Giorgio Albero, Gaetano Balzano, Danilo Blaquier, Federico Caccese, Stefano Cocifoglia, Giuseppe De Cesare, Simona De Cesare, Patrizia De Rosa, Gianluca De Stefano, Paola Delli Paoli, Chiara Alina Di Sarno, Aliù Fofana, Cynthia Fiumanò, Vincenzo Iaquinangelo, Marino Mazzei, Serena Mazzei, Giuseppina Oliva, Ariele Pone, Tommaso Renzuto Iodice, Giovanna Silvestri, Jurij Tognaccini, Renato Tognaccini. Compagnia Scuola elementare del teatro APS. Partner Teatro Trianon Viviani, Forgat ODV. Training e studi sul movimento Chiara Alborino e Lia Gusein-Zadé. Equipe pedagogica e collaborazione al processo creativo Monica Palomby, Eleonora Ricciardi, tutor Danilo Blaquier, Veronica D’Elia, Mara Merullo.
Cura del processo laboratoriale Scuola Elementare del Teatro Aps. Versi di Giovanna Silvestri. Realizzazione scene Ivan Gordiano Borrelli. Cura dei costumi Daniela Salernitano con Federica Ferreri. Tecnico audio Luigi Di Martino, tecnico luci, Mattia Santangelo, direttrice di produzione Hilenia De Falco, foto Renato Esposito Si ringraziano Gabriele D’Elia, Tonia Persico, Ilaria Scarano. Produzione Interno 5, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale.