Spettacolo in prima nazionale, “La Grande Magia” di Eduardo De Filippo inaugura positivamente la Stagione 2024/2025 del Teatro Bellini di Napoli e di tutti i teatri della città. La ripresa contemporanea dell’attualissimo testo del 1948, in quel debutto
poco compreso dal pubblico, sembra suscitare oggi grande clamore e lunghi applausi tra gli spettatori napoletani. Ma non solo: emergono, infatti, commenti discordanti tra coloro che si avviano verso l’uscita e che è importante ascoltare, origliare e comprendere. Se un’ampia percentuale del pubblico napoletano ha apprezzato e ha accolto positivamente questo spettacolo, una piccola parte riferisce una certa perplessità su alcuni elementi. Potremmo aggiungere che questa riflessione da parte degli spettatori, attenta e dubbiosa, è comunque frutto di una stimolazione profonda del pensiero. Pertanto, se questo testo, complesso, ricchissimo e articolato, generò, nell’immediato secondo dopoguerra, commenti discordanti e soprattutto negativi, probabilmente Eduardo aveva previsto certe reazioni, che persistono, sebbene in misura minore, anche oggi. Lo stesso autore arriva in scena, attraverso la registrazione della sua voce che echeggia, rimbalzando da una parete all’altra del teatro, mentre gli spettatori prendono posto. Stralci di parole chiave, legate alla vita drammaturgica e artistica di Eduardo, emergono confuse, in sottofondo, tra il chiacchiericcio degli spettatori che si accomodano, rumorosi e loquaci. La voce del drammaturgo si staglia, poi, nitida e riconoscibile, quando si abbassano le luci e lo spettacolo ha inizio. Questa scelta registica, firmata da Gabriele Russo, è coerente con l’intero racconto scenico, il cui filo conduttore è proposto dallo stesso drammaturgo come una guida costante ed è seguito con grandissima disciplina dallo stesso regista. Parliamo di uno spettacolo che viaggia costantemente sul contrasto e sull’indissolubile rapporto tra realtà e immaginazione, tra sogno e veglia, tra illusione – parola cardine di tutto il testo – e rivelazione. Una grande magia, appunto, è stata compiuta proprio da Eduardo De Filippo che è riuscito a costruire un racconto intrecciato e complesso, su cui ha poggiato personaggi fortemente caratterizzati e “incastrati” tra loro, tessendo tutti questi elementi attraverso una tela che si riforma e si distrugge costantemente. Lo stesso presunto mago parla di una tela di ragno, che c’è ma non si vede. La regia di questo spettacolo rispetta fortemente il testo, che viene recuperato praticamente in versione integrale, attuando gli unici cambiamenti all’interno di alcune scelte scenografiche e in alcune variazioni rispetto alle lunghissime didascalie che ritroviamo soprattutto all’inizio e alla fine dei tre atti. Ogni personaggio è posto sul palcoscenico attraverso un’ossessiva attenzione alla caratterizzazione, secondo la volontà dello stesso Eduardo, affinché il pubblico possa subito individuare ogni nome e ogni pedina e ricostruire, durante lo spettacolo, tutte le sfumature che si sovrappongono all’interno di ogni personaggio-attore. L’intera compagnia presentata da Gabriele Russo è frutto di una grande produzione, che coinvolge la Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, il Teatro Biondo di Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale; compagnia d’eccezione che ha sostenuto l’intero spettacolo conducendolo ad un livello molto elevato. L’intera regia sembra costruita su effetti cinematografici d’altri tempi, evitando qualsiasi effetto speciale che possa coprire e nascondere eccessivamente la ricchezza della messinscena immaginata da Eduardo. Sono rispettati i luoghi, in particolare il giardino sul retro dell’Hotel Metropol, nome che ricorda il cinema americano e il sogno a cui tutti gli Italiani aspiravano dopo la distruzione della guerra, ma il giardino non è l’hotel, luogo che in verità non si vede, ma si descrive. Balaustre e scale si intravedono attraverso pareti velate come sipari impalpabili, piante vere o finte, come quelle dei set cinematografici, attraverso elementi che caratterizzano un luogo “non luogo” che non è hotel, non è strada, non è una casa, ma viene definito un palcoscenico quotidiano. A questo punto è inevitabile sollevare l’attenzione sui molteplici aspetti metateatrali e fortemente pirandelliani presenti all’interno di questo spettacolo, alcuni creati dallo stesso Eduardo, altri sottolineati dalla regia di Russo: dal pubblico costituito dagli stessi personaggi che assistono agli straordinari numeri di magia del famoso Mago, Otto Marvuglia, professore di scienze occulte e celebre illusionista, come lo definisce lo stesso Eduardo nell’elenco dei personaggi, all’abbattimento della quarta parete da parte dei protagonisti che osservano il pubblico definendolo “mare” (lo stesso Eduardo sottolinea la differenza tra i clienti dell’albergo come finto pubblico e il vero pubblico “mare”), fino alla vestizione dei personaggi in proscenio, nel passaggio tra il secondo e il terzo atto, scelta quest’ultima voluta dal regista e non prevista da Eduardo, perché funzionale all’utilizzo degli stessi attori per interpretare altri personaggi. Lo smascheramento, dunque, dei trucchi di Otto Marvuglia è anche uno smascheramento dei trucchi di regia, rivelando così un’intelligente e coerente continuità con il tema del racconto, attraverso una scelta registica. E ancora si potrebbero citare il concetto di maschera, il riferimento alla parola chiave “giuoco” che ricorda l’antico “to play”, il riferimento all’intreccio torbido shakespeariano, al “giuoco delle parti” pirandelliano”, fino al concetto di illusione storica. In effetti questo testo si aggancia inevitabilmente non solo a “Napoli milionaria!” del 1945, ma soprattutto al più antico “Sik Sik l’artefice magico” del 1929: i valori umani, soprattutto quelli legati alla famiglia, alla dignità, alla verità dei sentimenti, sembrano disgregarsi davanti all’illusione del gioco della vita, davanti all’illusione che tutto proceda bene, che le assenze siano presenze, che il gioco conceda un premio finale. La regia di Russo riesce, in alcuni momenti, a dipingere con eleganza alcuni aspetti comici e grotteschi, accrescendone l’intensità rispetto al testo originario, evitando, però, qualsiasi banalizzazione, osservando con attenzione ogni singolo movimento di ogni personaggio, ogni singola battuta. All’inizio del terzo atto la casa del povero Calogero di Spelta, uomo tradito dalla moglie, beffato dal Mago e assecondato dagli altri clienti dell’albergo, pedine e complici di un enorme gioco di imbrogli, non si presenta secondo la didascalia: la ricchezza del palazzo si riduce ad uno stanzone enorme, vuoto, grigio, angosciante, entro cui il delirio del povero Calogero diventa analisi profonda sulla propria vita e sulla società. La regia di Russo sceglie di trasformare il protagonista in una sorta di “monaciello” di memoria partenopea, invecchiato e segnato, polveroso e piccolo, ma fortemente energico, apparentemente arrendevole. Ancora una volta la morte si ripresenta ossessiva anche in questo testo: la povera Amelia, la più giovane, invischiata in un gioco per lei infantile e innocuo, muore nel corso della storia. Quando l’inganno continua a stringere le sue fila, il personaggio più puro soccombe.
Gli elementi descritti fino ad ora dimostrano il grande lavoro registico, analitico, filologico che ritroviamo in questo prodotto artistico e scenico, a cui aggiungiamo anche l’eleganza degli abiti di scena, soprattutto quelli femminili, curatissimi, secondo la moda degli anni ’30, ma mai polverosi, anzi attualissimi. Giuseppe Avallone riporta in scena abiti fortemente cinematografici, memori dell’opulenta eleganza del cinema americano d’altri tempi. Le musiche e i suoni, firmati da Antonio Della Ragione, sfruttano effetti digitali che avvolgono completamente platea e scena, in un gioco illusionistico che ricorda i film di magia, Matrix e i fantasy contemporanei. Infine, le luci, personaggi veri e propri, sono indispensabili non solo nei passaggi tra scene e atti, ma soprattutto tra stati d’animo e visioni: le luci, anch’esse elegantissime, sono il collante perfetto tra illusione e realtà. Lo spettacolo si spegne sulla scena e illumina, con un proiettore gigante, il pubblico, ricordando la regia di Antonio Latella in “La trilogia della villeggiatura” del 2009 o quella di “Romeo e Giulietta” firmata da Alexander Zeldin nel 2010. I due grandi pilastri di questo spettacolo sono certamente Natalino Balasso, nel ruolo del beffato Calogero Di Spelta, ma personaggio cardine che beffa a sua volta, come l’Enrico IV pirandelliano o come il folle Amleto, conoscitore della verità, e Michele Di Mauro, nel ruolo dell’illusionista, Otto Marvuglia, dallo sguardo affascinante e dalla voce penetrante e vellutata, allenata dal suo lavoro di doppiatore. Questi attori sono entrambi motore trainante di un testo complesso, anche nella recitazione, ma sono legati da un perno importante, ossia Gennaro Di Biase, nei panni dell’amante, attore napoletano indimenticabile all’interno della compagnia di “Circo Equestre Sgueglia” di Raffaele Viviani, per la regia di Alfredo Arias del 2015. Un plauso speciale a tutte le donne della compagnia, che hanno definito con pennellate splendide i vari momenti e passaggi del racconto scenico. La lingua diventa uno dei personaggi fondamentali: l’attenta regia osa e regala ad attori non napoletani il testo eduardiano. Scelta corretta quella della recitazione in siciliano dell’attore palermitano Alessio Piazza, della pronuncia di frasi napoletane da parte del torinese Michele Di Mauro e dell’uso dell’accento fortemente settentrionale di Natalino Basso: Eduardo aveva lavorato a lungo sulla lingua e sulla fruibilità dei suoi testi, pertanto l’adozione dell’italiano regionale e dei dialetti non napoletani non rappresenta un tradimento, ma una scelta, anche questa, pertinente, elegante e certamente rischiosa, ma non ingenua. Anche in questo caso la regia punta fortemente sulla caratterizzazione dei personaggi e sul messaggio, lavorando anche sulla lingua. Del resto, il testo de “La Grande Magia” è in lingua italiana, con rari inserti di regionalismi e dialettismi, e regala momenti di comicità, di tristezza e, soprattutto, di altissimo ragionamento filosofico.
La Grande Magia
di Eduardo De Filippo
Teatro Bellini, Napoli
15 ottobre – 2 novembre 2024
regia Gabriele Russo
con
Natalino Balasso nel ruolo di Calogero Di Spelta
Michele Di Mauro nel ruolo di Otto Marvuglia
e con in o/a
Veronica D’Elia - Amelia Recchia
Gennaro Di Biase - Mariano D’Albino e Brigadiere di P.S.
Christian di Domenico - Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta
Maria Laila Fernandez - Signora Marino e Rosa Di Spelta
Alessio Piazza - Gervasio e Oreste Intrugli (genero Di Spelta)
Sabrina Scuccimarra - Zaira (moglie di Marvuglia)
Manuel Severino - Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia
Alice Spisa - Marta Di Spelta e Roberto Magliano
Anna Rita Vitolo - Signora Zampa e Matilde (madre Di Spelta)
scene Roberto Crea
luci Pasquale Mari
costumi Giuseppe Avallone
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione
produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
foto Flavia Tartaglia