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Tragùdia, lo spettacolo di Alessandro Serra che ha debuttato in prima nazionale, dal 17 al 20 ottobre, a Bologna sulla scena dell’Arena del sole per l’Opening Showcase Italia di Ert è un lavoro importante e molto raffinato. In scena, a recitare, c’è un

ensemble solido, affiatato, consapevole, composto da Alessandro Burzotta (Polinice), Salvatore Drago (Sacerdote), Francesca Gabucci (Ismene), Sara Giannelli (Antigone), Jared McNeill (Edipo), Chiara Michelini (Sfinge, Tiresia, Giocasta, Teseo), Felice Montervino (Creonte). La qualità più importante di questo spettacolo è evidente: si tratta di una riscrittura del mito di Edipo, così come l’ha trattato Sofocle in Edipo Re e in Edipo a Colono, attraversata da un continuo e percepibile movimento d’interrogazione sulla sua possibilità e sulle condizioni della sua rappresentabilità. Sì perché, a pensarci bene, quei pochissimi testi che ci sono arrivati dalla tradizione drammaturgica ateniese del V secolo a.C., essendo evidentemente estranei alla dimensione estetica della nostra esperienza teatrale, sono in quanto tali portatori di voragini di senso e irrappresentabili (indipendentemente da quel che invece ci assicurano l’esperienza e una solidissima tradizione teatrale) se non attingendo obliquamente a una possibilità che scaturisce dal dialogo tra regista contemporaneo e testo antico. Un dialogo che non può e non deve fermarsi sul contenuto filosofico, sapienziale, politico del testo che si è scelto di realizzare in scena, ma deve affrontare l’antropologia del fenomeno tragico e recuperare in chiave storica la possibilità che esso, al di là dell’esperienza comune e fenomenica, possa realmente comunicare qualcosa al pubblico di oggi. Facile a dirsi, ma difficile a farsi per molti motivi. Inoltre non è detto che il paradigma simbolico del “dialogo” tra regista e testo sia del tutto adeguato a risolvere il problema perché, tendenzialmente e per quanto condotto con serietà e in uno spazio di tempo giusto, questo dialogo finisce – spesso, se non sempre - con l’assorbire il testo antico nella voce e nella prospettiva culturale del regista contemporaneo. Serra sembra avere ben chiara questa aporia e prova a realizzare il suo lavoro individuando un autonomo percorso di lettura: nel dialogo col mito di Edipo e coi testi sofoclei egli non prova a mettere in luce un esito possibile e nemmeno una ipotesi su quanto di Edipo possa parlarci in un contesto di identità e di continuità culturale, piuttosto focalizza l’elemento perturbante e sorprendente dell’alterità. Un’alterità assoluta, che non diventa (né può diventare) mai “estraneità”. Una alterità che si declina ad esempio nella dimensione sacrale dell’evento teatrale, nel paradosso della irrappresentabilità e dell’incomunicabilità del mistero, nella presenza della maschera come elemento strutturale e concettualmente ineliminabile del teatro greco, nella realtà della profezia e nella dimensione di magica e ancestrale naturalità di essa, nella dimensione del dolore della conoscenza, nel processo di divinizzazione del personaggio eroico, nella difficoltà estrema di riconoscere il carattere laico del potere politico, nel rifiuto dell’incesto, nel rapporto col mistero del femminile. Elementi che fanno parte sicuramente di una dimensione di inconscio collettivo e che alimentano il nostro essere, senza necessariamente palesarsi come memoria, coscienza, conoscenza, consapevolezza culturale e identitaria: Edipo, lo straniero al contempo colpevole e innocente, è lo straniero che è in noi, che rifiutiamo, che non vogliamo riconoscere. Tutti elementi e materiali, ancora, su cui la riflessione del regista sembra svolgersi, come si è detto, nello spettacolo, con gli stessi elementi formali dello spettacolo e con un lavoro che tiene a debita distanza qualsiasi elemento della tradizione teatrale occidentale. Ma c’è un elemento su cui, più di tutti, Serra sembra voler giocare il carattere di alterità di senso di questo allestimento: si tratta dell’uso del grecanico (sovra-titolato in italiano e in inglese), un antichissimo dialetto greco di presenza rarefatta ma ancora oggi parlato in alcuni villaggi della Calabria e della Puglia. Il regista spiega che si tratta di una scelta legata puramente alla ricerca di una lingua dalla sonorità ancestrale e non legata da nessun filo alla tradizione della recitazione, seppure ancora viva, che meglio potesse esprimere il senso del suo lavoro sulla tragedia greca, sul mito e sul testo sofocleo. Una scelta evidentemente simile, anche se non del tutto sovrapponibile, a quella che aveva fatto per il Macbeth di Shakespeare in lingua sarda. È una spiegazione coerente e non banale, ma a parere di chi scrive va comunque collegata a quell’attenzione per l’alterità della tragedia che è il segno più importante di questo lavoro. Una notazione va fatta quindi per l’insieme del linguaggio scenico: colori, luci, costumi, invenzioni sui personaggi, ambientazioni, persino profumi (un turibolo che oscillando sparge profumo d’incenso); tutti gli elementi dell’allestimento, insomma, sono coerenti - come è giusto - con quanto si è provato a dire sul senso profondo di questo lavoro. C’è però un elemento ulteriore che non può sfuggire a uno sguardo critico e rappresenta forse l’elemento di maggiore profondità: si tratta della cura quasi maniacale del movimento, del gesto, dell’immagine corporea. Una cura che, se è ricercata, presente, importante nel lavoro di tutti i protagonisti, diventa veramente strepitosa in Chiara Michelini soprattutto nei ruoli di Tiresia e di Giocasta: ogni minimo gesto reca in sé la traccia di un’emozione, di una tensione, di una ferita, di un viaggio (dai Balcani al medio-oriente e all’Oriente estremo), di un racconto familiare, di un frammento di memoria lacerata ma ancora attiva.

Tragùdia. Il canto di Edipo
Bologna Arena del sole 17 – 20 ottobre 2024. Prima Nazionale
Di Alessandro Serra, liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito.
Con Alessandro Burzotta (Polinice), Salvatore Drago (Sacerdote), Francesca Gabucci (Ismene), Sara Giannelli (Antigone), Jared McNeill (Edipo), Chiara Michelini (Sfinge, Tiresia, Giocasta, Teseo), Felice Montervino (Creonte).
Regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra. Traduzione in lingua grecanica Salvino Nucera. Voci e canti Bruno de Franceschi. Collaborazione ai movimenti di scena Chiara Michelini. Collaborazione al suono Gup Alcaro, collaborazione alle luci Stefano Bardelli, collaborazione ai costumi Serena Trevisi Marceddu. Direzione tecnica Francesco Peruzzi. Tecnico del suono Alessandro Orrù, direzione di scena Luca Berettoni, costruzione della scena Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loic Francois Hamelin.
Produzione Sardegna Teatro, Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due Parma, In collaborazione con Compagnia Teatropersona, Fondazione I Teatri – Reggio Emilia.

Foto Alessandro Serra