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Era il 1980 quando il venticinquenne Pier Vittorio Tondelli da Correggio diede alle stampe il suo “Altri Libertini”. Successo incredibile, scandalo pubblico, sequestro dell’opera da parte del Procuratore dell’Aquila per oscenità e oltraggio alla pubblica

morale, nuove edizioni edulcorate.
 E’ nato un mito letterario, voce di una generazione anche grazie ad altri capolavori come “Pao Pao” e “Camere separate” fino alla morte precocissima di Aids a 36 anni. Finalmente il mondo di Tondelli esce dalle pagine della sua opera prima e diventa parola teatrale. 
Licia Lanera, già Premio Ubu sia come attrice che come regista, porta sul palco il suo Tondelli (Teatro Studio Melato, via Rivoli, 6 a Milano fino al 3 novembre) attraverso tre dei racconti-capitoli di “Altri Libertini” (“Viaggio”, “Altri libertini” e “Autobahn”). La narrazione si fa fluida attraverso le voci dei personaggi di quel mondo (auto)emarginato. Il vitellone spietato e bellissimo, omosessuali gaudenti e malinconici, femmine giunoniche innamorate e tradite. Poi l’eroina, il sesso libero, il lavoro quanto basta per pagare l’affitto, tirare l’alba ubriachi, quella malinconia radiazione di fondo da cui non si può sfuggire. Sulle note di Vasco, incombe il non-senso di quella generazione post Settanta che non crede più nelle lotte e nel progresso, che ha visto tramontare le ideologie abbagliate dal denaro, che cerca di ritrovarsi attraverso l’autodistruzione inconsapevole. Quando essere se stessi significa risalire la corrente di valori sociali opposti, la bohème di queste esistenze ai margini diventa fondativa di un futuro, qualunque esso sarà. Sono stati i padri di una modernità libera, individualisticamente creatrice di molteplici identità, dissacratoria e affascinante. Bisognava passare per l’inferno, la negazione del noto e del riconosciuto, lo sfacelo.
La bella parola teatrale della Lanera, valorizzata dalla sua regia scarna e confidenziale, riesce allora nel tributo a questi pionieri del Nuovo nostro Mondo. Serve il linguaggio di Tondelli tutto parolacce, bestemmie e oscenità. La parola è il crocefisso dell’esorcista che tiene lontano il satana dell’omologazione, ma è anche il piccone con cui si frantuma il vecchio, il perbene, il benpensante.
«Io e i miei compagni di viaggio – scrive la Lanera - ci siamo messi addosso l'etichetta di altri libertini, vitelloni nati nel secolo scorso, senza figli, animali notturni, poca grazia nel nostro stare al mondo, bestie solitarie terrorizzati dalla solitudine, incapaci di essere genitori, condannati ad essere eternamente figli, figli dai capelli bianchi, figli coi drink in mano e la droga nel portafogli da usare rigorosamente in occasioni speciali». Colpisce che sia sfuggita a buona parte della modernità quanto Tondelli abbia solcato una Route 66 nostrana, un viaggio on the road che non si sposta dall’immobile provincia per bene, eppure raggiunge mete impensate, nei contenuti ma anche nella nuova parola. 
Il nostro tempo deve molto a quel viaggio interiore in termini di ritrovata autenticità ed esplorazione dei limiti, tutto degrado e rasoiate linguistiche. Chi più del teatro può tributare questo merito a un autore e a una generazione che hanno incarnato quella prolifica autodistruttiva trasformazione?

Foto Manuela Giusto