Con questo mio contributo vengo a chiudere la breve serie dedicata alla sintetica analisi delle principali caratteristiche formali e strutturali del personaggio teatrale (e del testo drammatico scritto); il conoscere tali tratti distintivi delle dramatis personae
credo sia utile non solo agli studiosi (e studenti), ma anche ai lettori di testi per il teatro e agli stessi spettatori, i quali nel rapido hic et nunc delle dinamiche sceniche devono saper orientare la loro visione molto rapidamente. A maggior ragione se, come recita il titolo della presente rubrica, il teatro può anche essere un privilegiato “osservatorio” creativo e artistico del nostro vivere.
Un tratto distintivo molto importante concerne il suo “statuto intertestuale”, cioè proprietà, ruoli, identità ereditati da altri testi, non solo drammatico-teatrali, ma anche letterari e narrativi. Ovviamente scoprire questa intertestualità prevede un lettore/spettatore che abbia un minimo di conoscenze della storia del teatro e una certa familiarità con il teatro (drammaturghi, autori, registi, attori e soprattutto spettacoli di valore). Vediamo alcuni esempi.
Quello più esplicito è tipico della modernità e ha un gran numero di testi che ce lo mostrano. Mi riferisco alla riscrittura di opere del passato monumentali, di testi classici e fondativi: basta pensare al personaggio Amleto, ma ancor prima, molti secoli prima, si pensi a Edipo.
Non è facile la “riscrittura”, in tal caso l’intertestualità presenta dei bei trabocchetti: innanzi tutto, il primo, è quello di “copiare” di fatto il primo modello di un personaggio, di trasportarlo, ad esempio, nel nostro tempo e mondo ma senza che venga aggiornato e inserito nelle problematiche di tempi e luoghi del tutto diversi da quando un Edipo, un’Antigone, un Amleto, un King Lear, vennero concepiti.
Altro trabocchetto in cui drammaturghi, registi e scenografi, con gli attori, possono cadere, è quello di non tener conto del percorso creativo subito da un personaggio, col rischio di farne quasi una copia di una copia. Nella cultura teatrale italiana moderna e contemporanea, comunque, posso assicurare che Pasolini, Testori, la Morante, per citare almeno tre autori, hanno saputo ri-creare i profili di diversi personaggi che la tradizione intertestuale ha loro offerto. Questi autori hanno saputo identificare nei loro protagonisti giunti dal passato alcuni aspetti psicologici, sociali, etnoantropologici come chiavi per leggere il presente, nella convinzione espressa da Italo Calvino che i testi “classici” non finiscono mai di dirci qualcosa di importante.
Un secondo tratto utile da considerare è come far parlare i personaggi. Per noi italiani tale interrogativo presuppone la consapevolezza che vi sono nella nostra cultura tre stati linguistici: la lingua italiana standard; i linguaggi regionali e i dialetti veri e propri. Oggi come oggi molti autori fanno parlare i propri personaggi nel registro regionale, in cui il lessico e la tonetica (l’accentuazione) provengono dal dialetto.
Altri drammaturghi si appoggiano al dialetto come linguaggio molto più espressivo, più ricco di musicalità, e, se serve, più facile e più adatto a testi essenzialmente comici. Per capire bene tali scelte basta seguire la scrittura di Eduardo De Filippo, fino agli anni Cinquanta aderente al dialetto napoletano parlato, e poi, come ha dimostrato lo studioso De Biase, man mano alleggerito e per così dire notevolmente “italianizzato”, anche per le esigenze televisive che il grande Eduardo ha dovuto soddisfare. Se dovessi indicare le migliori tradizioni nostrane di concatenazioni lingua standard/dialetti, indicherei quella napoletana, giustappunto, quella veneta, la siciliana, e anche la lombarda (in particolare nel Novecento la scrittura di un Fo e di un Testori).
Termino osservando che le varie caratteristiche, mostrate in questa breve serie di scritti sui personaggi presente nella mia rubrica di Damma.it, non li determinano come entità assolute, cioè “sciolte da”, tutt’altro. I personaggi ancor di più vengono definiti “per opposizione”, in quanto tutti si pongono in rapporto gli uni con gli altri, con tutte le figure presenti nel mondo drammatico, sottolineo: gli uni con gli altri, ma anche contro gli altri. Chi sarebbe un Amleto senza la figura del padre? E chi sarebbe Giulietta senza il suo Romeo? E chi sarebbe Edipo senza la madre Giocasta? E non dimentichiamo, quindi, i personaggi che vivono sulla scena nel loro essere nemici, opposti, l’uno la negazione dell’altro, o dell’altra.
E qui voglio lasciar lavorare l’immaginazione e la memoria di quei lettori che hanno avuto la bontà e l’interesse di leggere le mie pagine dedicate ai personaggi, che sono innanzi tutto entità scritte sulla carta, non certo persone in carne ed ossa; sono pirandellianamente “realtà create”.