“Sanpapiè”, compagnia milanese ormai conosciuta oltre i confini italiani, ha scelto come sua cifra estetica essenziale quella di raccontare con la danza, di fare cioè drammaturgia con i movimenti del corpo ritmati e immersi in un luogo che sta tra il
silenzio e la sinfonia, un fare racconto che appartiene da sempre alla danza anche se, oggi, non sempre sa coniugare il pensiero, spesso artatamente astratto, con il sentimento e la naturalezza, con la spontaneità che, nelle sue migliori espressioni antiche e moderne, non può non accompagnarlo.
Raccontare con la danza vuol dire, come nel grande balletto classico, utilizzare passi e movimenti come geroglifici condivisi che non sostituiscono le parole ma bensì ci mettono in comunicazione con esse, in noi e tra di noi.
Una caratteristica ulteriore di questo loro modo di essere danza è quello di mescolare la tecnica più appropriata, che non può prescindere dalla tradizione, con le esperienze corporee più innovative, dalla performance al teatro di figura, con un utilizzo raffinato della maschera che in loro si trasforma in vero e proprio trait d'union con il pubblico che li guarda, essendone, e ce ne accorgiamo, da loro stessi guardato, quasi ad invitarlo sul 'precipizio'.
L'ispirazione di questo spettacolo è la nota storia di un giovane omicida seriale inglese, con disturbi schizofrenici che si intrecciavano tra omosessualità 'tossica', infanzia 'tradita', incapacità di essere (in) relazione, ma non è questa la storia che conta, perché oltre la storia raccontata il vero oggetto della messa in scena, ribadisco una vera e propria drammaturgia di figura senza parole non avendone bisogno, è altro.
Il vero “de te fabula narratur” è, come recita il titolo, la difficoltà dell'oggi a stare 'vicini', è la difficoltà dell'altro a stare con me ed è la mia difficoltà a stare con l'altro, vista nel punto estremo in cui si fa follia omicida, quel punto in cui il desiderio di vivere sembra potersi realizzare solo nella morte, mia ovvero dell'altro perché chi in questo caso uccide l'altro uccide sempre anche una parte di sé stesso.
Uccidere per conservare per sempre vicino, uccidere per divorare e farne una parte eterna di noi stessi è la linea rossa di un orizzonte costantemente traversato, e qui in fondo, come non ricordare in altra forma “Anna Cappelli” del compianto Annibale Ruccello.
Attrazione e rifiuto, caduta e slancio sono dunque gli opposti, i movimenti che regolano e alimentano, nella coreografia, la narrazione scenica in cui l'uso della maschera mescola paradossalmente la personalità del singolo con quella 'dei tutti', in un effetto di ironia che pirandellianamente smaschera, cercando di illuminare l'oscurità che ci circonda e che, prima, è dentro di noi.
L'ambiente musicale, scelto e articolato con grande intelligenza, non è solo accompagnamento alla coreografia, ma è come un calco che modella la cera del racconto creando quasi una quarta dimensione di significatività. All'altezza per tecnica e mimica i tre protagonisti, triade di una normalità 'familiare' che è, come il presepe di casa Cupiello, sul punto di sfaldarsi o ormai persa.
Alla fine così la maschera, abbandonata come i costumi, svela ciò che di anonimo copre il volto di ciascuno di noi. Infatti alla fin fine siamo tutti “sanpapié”, senza documenti, ma rivendicandolo siamo anche più liberi.
Un bello spettacolo in cui naturalezza e semplicità ci sono gradevoli compagni in un viaggio non privo di dolore. Alla sala Campana del Teatro della Tosse di Genova, nell'ambito del Festival “Resistere e Creare” tuttora in corso e di cui già abbiamo dato notizia in queste pagine. Molto applaudito e apprezzato dal pubblico.
STAND BY ME Una produzione Sanpapiè, coreografia e regia Lara Guidetti, con Sofia Casprini, Gioele Cosentino, Matteo Sacco, drammaturgia Saverio Bari in collaborazione con Gianluca Bonzani, elaborazioni sonore Marcello Gori, maschere Maria Barbara De Marco, scenografia Maria Croce, costumi Fabrizio Calanna, con il sostegno di Mic-Ministero della Cultura