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A pensarci un po’ su, quello del lavoro è un tema poco frequentato dal teatro italiano contemporaneo. Poco, o comunque non quanto sarebbe necessario, opportuno e urgente: non c’è quasi nulla in effetti di vitale e trasformativo nella realtà che non

passi necessariamente attraverso l’attività lavorativa. Anche la tematica delle grandi migrazioni, che tanti scontri politici e dibattiti pubblici suscita nel nostro paese (anche nel mondo delle arti e della cultura), in effetti altro non è che una declinazione (venata quasi sempre di razzismo) della tematica del lavoro: perché è il lavoro (o la mancanza di lavoro insieme a guerre, povertà e malattie) uno dei motivi che spinge maggiormente le persone a lasciare le loro terre, a mettersi in cammino e ad affrontare pericoli mortali per raggiungere l’Europa e in generale l’Occidente. Fosse già solo per questo motivo, “Sammarzano” si configura come uno spettacolo interessante e da vedere. Raccontiamo di un allestimento della compagnia pugliese Malmand che, realizzato prima del periodo del Covid, sta rientrando nei circuiti del teatro italiano e si visto il primo di novembre a Palermo, nello spazio (ancora precario, ma sempre straordinariamente affascinante) del Teatro Garibaldi alla Kalsa e nel contesto del Festival Prima Onda. La regia è di Ivano Piciallo, ma drammaturgia e scrittura scenica sono – e si vede – un lavoro collettivo dell’ensemble. In scena ci sono lo stesso Piciallo e poi Adelaide Bitonto, Giuseppe Innocente e Francesco Zaccaro.
Si tratta sostanzialmente di una riflessione/denuncia sulle dinamiche ferree e para-schiavistiche che, ancora oggi, per tramite del sistema illegale del caporalato, regolano il lavoro agricolo in una parte significativa ed estrema del Sud Italia. Nel caso immaginato nello spettacolo, ad essere illuminato, descritto, analizzato è il lavoro legato alla coltivazione, alla raccolta e alla commercializzazione del pomodoro Sammarzano nell’area della cosiddetta Capitanata, ovvero della provincia di Foggia. Un segmento del mondo del lavoro di enorme impatto economico e sociale che, essendo svolto in massima parte da immigrati, è realizzato - secondo la denuncia di Malmand - entro spazi vasti di illegalità e conseguentemente diventa territorio di applicazione delle più dure, persino disumane, dinamiche di sfruttamento capitalistico del lavoro. A partire da tale riflessione come hanno costruito l’azione teatrale questi artisti? Non nascondendo la durezza e l’ingiustizia di questo segmento di mondo economico che si sviluppa e cresce proprio accanto a noi (e anche dentro di noi, a motivo della nostra indifferenza sazia e colpevole), anzi schierandosi e denunciandone severamente la brutalità.
Non c’è retorica tuttavia e la denuncia è articolata drammaturgicamente in un racconto/azione vivo e paradossale: Dino (Francesco Zaccaro), lo scemo del villaggio, figlio proprio di un caporale, è incuriosito e attratto dal mondo dei lavoratori migranti e proprio a questo ambisce, vuol diventare un immigrato, un lavoratore immigrato, e vivere nella baraccopoli in cui vivono, separati, ammassati e stremati, gli immigrati. Il resto dell’intreccio è opportuno che gli spettatori lo scoprano autonomamente. In questo contesto è però necessario dire anche che la costruzione dello spettacolo appare eccessivamente complicata da elementi formali e di senso (motivi politici, considerazioni economiche, elementi figurativi, ricordi) che finiscono con indebolire la percezione dell’insieme: l’insistito disturbo fonatorio che segna il linguaggio di Dino, la riflessione sulle diversità, il fascino straordinario della taranta accennata da Adelaide Bitonto, l’uso delle maschere che provano a incardinare questa operazione nella tradizione del teatro popolare e in un’ulteriore riflessione sull’alterità. Tutti elementi congrui rispetto alla complessità del mondo portato in scena, ma affiancati più che sintetizzati nella potenza di un’unica azione teatrale.
Un’ultima notazione va dedicata al Festival Prima onda, giunto alla sua quinta edizione. Guidato e organizzato dal collettivo Genìa (in particolare, ma insieme con gli altri, da Sabino Civilleri e da Manuela Lo Sicco) rappresenta un’ulteriore dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno, della colta vitalità di una numerosa generazione di artisti palermitani che, restati a vivere, lavorare e lottare a Palermo, non ricevono dal governo nazionale e dalle pubbliche amministrazioni siciliane l’attenzione e la considerazione che sarebbero loro dovute e che soprattutto meriterebbero senza ombra di dubbio per il valore culturale ed artistico.
Paolo Randazzo

Sammarzano
Teatro Garibaldi Palermo, 1 Novembre 2024, nel contesto del Festival multidisciplinare Prima Onda 2024, V edizione. Compagnia Malmand. Regia Ivano Picciallo. Con Adelaide Bitonto, Giuseppe Innocente, Ivano Picciallo, Francesco Zaccaro. Drammaturgia e scrittura scenica della compagnia. costumi di Lorena Curti, disegno di luci Camilla Piccioni, maschere di Officine Zorba, aiuto regia Ludovica Bei.

Foto Manuela Giusto