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Prima di analizzare uno spettacolo, e quindi un testo di Fabio Pisano, è importante leggere con attenzione il titolo: il drammaturgo napoletano, vincitore di numerosi premi, conosciuto e riconosciuto in tutta Italia, si “diverte” ad espandere

notevolmente i titoli dei suoi testi e dei suoi spettacoli, cercando di fornirci una sorta di codice, di piccola spiegazione, prima della visione o della lettura. Le conversazioni con Pisano spesso si articolano sulle richieste dello stesso drammaturgo che cerca di chiedere ai suoi spettatori, esperti o no, cosa abbiano compreso, cosa abbiano percepito, cosa abbiano conservato dopo la visione dei suoi spettacoli. Dunque, questi titoli estesi, o spesso caratterizzati da sottotitoli, rivelano questa profonda volontà del drammaturgo, che mostra una forte necessità, quella di guidare lo spettatore o il lettore a comprendere a fondo il suo scritto e il suo racconto scenico. In questo spettacolo, in scena presso il Piccolo Bellini di Napoli, dal 12 al 17 novembre, il titolo è triplicato: l’autore scrive il testo sapendo bene che questo si evolverà man mano, attraverso la scrittura e i rimaneggiamenti. Tre titoli, o forse un titolo e due sottotitoli, delineano un percorso di creazione e di genealogia drammaturgica, e non solo scenico, che emerge in maniera originale.
È evidente che questo spettacolo rappresenti la messinscena del testo nel senso più profondo del discorso, ossia il testo stesso diventa protagonista assoluto, frammentandosi nelle sue parti che sono incarnate dai personaggi in scena, attivi o ipoteticamente attivi.  L’autore aggiunge un prefisso de-, ma non lo fonde con la parola principale, bensì lo mantiene distaccato, ottenendo De/frammentazione. In informatica, la deframmentazione è un’operazione mediante la quale i diversi files presenti sul disco rigido di un computer vengono raccolti in una stessa zona del disco per ottimizzarne le prestazioni.  Quindi, se riflettiamo bene, si frammenta per poi accorpare in uno stesso luogo e per migliorare il funzionamento o lo scopo. L’autore frammenta e spezzetta un testo nelle sue parti, come se il testo concluso fosse costruito in fragile cristallo e si frantumasse per terra: il drammaturgo raccoglie le sue preziose parti collocandole in un unico luogo, il palcoscenico. La visione di questo spettacolo mette in evidenza un ribaltamento del testo, che non rimane sul foglio come corpo di natura specifica, ma vive in tutte le sue parti, anche quelle considerate “strumentali” e riportate in vita dall’azione degli attori. Non possiamo parlare di una vera e propria frammentazione, ma di scomposizione su piani paralleli, che si intersecano e scivolano gli uni sugli altri, ricordando i cieli mobili danteschi, tutti collegati tra loro. La storia di impossibilità a cui accenna nel titolo Pisano, in effetti si evolve mostrando al pubblico una mancata o ritardata evoluzione. Ancora una volta sul palcoscenico ritroviamo una famiglia, stavolta in formazione, i cui protagonisti non sono identificati con nomi definiti, ma con nomi generici: Uno, Moglie. Esiste un ulteriore personaggio, il didascalista, ruolo che in realtà viene affidato, a turno, a diversi attori. Si aggiunge un terzo personaggio, Zero, l’amico di Uno, che poi diventa il cardine dell’intera storia. Il linguaggio informatico, attraverso il codice binario, si ripresenta anche nella denominazione dei personaggi. Senza Zero e senza Uno il codice binario non comunica, pertanto questo testo teatrale non potrebbe evolversi e i personaggi non potrebbero “procreare”; senza colui che crea il codice, l’autore, e il mezzo per decodificarlo, il didascalista, il racconto non è comprensibile.  Un tavolo esteso occupa il centro della scena, come quello attorno a cui si siedono gli attori quando cominciano a leggere un testo teatrale o si esercitano nella memoria; a destra una presenza femminile con ruolo tecnico, ossia proiettare le didascalie. L’osservazione attenta sulla didascalia, elemento strumentale su cui ci siamo soffermati a lungo in vari studi di stampo accademico, che approfondiscono l’evoluzione della natura di questa parte fondamentale del testo teatrale, ormai presente in scena e durante lo spettacolo, è uno degli elementi sui cui si sofferma spesso Fabio Pisano. In particolare, questa volta, sembra dare vita alla didascalia in maniera esemplare, non solo trasformandola in battuta vera e propria, pronunciata dagli attori, ma anche proiettandola sullo schermo, in fondo alla scena. Gli attori sono relativamente statici, pedine di un tessuto complesso, rappresentato dal testo, le cui chiusure o nodi sono appunto le didascalie. Senza di queste il racconto scenico sembrerebbe fortemente statico e i piani temporali perderebbero le loro connessioni. Il tempo, infatti, oscilla su piani paralleli, che spingono la storia a ritroso, con interessanti flashback di natura narrativo-letteraria, per poi tornare al presente e spingere sul futuro. Le didascalie proiettate, infatti, sono di natura temporale, quelle recitate sono di natura registica, psicologica e interpretativa.
Il titolo contiene altre informazioni: dramma assoluto e incursioni di Io Epico, che forse avremmo dovuto definire “Io Edipico”. In effetti, la storia narrata è un dramma assoluto, perché, nonostante la sua evoluzione, che volutamente teniamo nascosta per incuriosire i lettori e gli spettatori, contiene un elemento fondamentale, cioè la morte. Nei testi firmati da Pisano, la morte è uno dei personaggi spesso presente, analizzata nella sua forma più elevata, non religiosa, ma filosofica e universale, e inevitabilmente convive con il concetto di vita, che anche in questo spettacolo è il punto di partenza. L’ossessione alla vita, cioè ottenere la nascita di figli, porta, in questa storia, inesorabilmente alla morte, attraverso un circolo perverso che si apre e si chiude senza soluzione. La famiglia destrutturata sembra essere presente in tutta la drammaturgia contemporanea e anche in questo spettacolo, in cui l’impossibilità di procreare – un figlio o un testo? – appare violentemente in scena. L’Io Epico di cui parla il titolo, contrapposto a quell’Io Lirico che spinge poeti e narratori a soffermarsi sulle proprie storie, qui si apre ad un racconto universale, che tocca tutti, anche nella contemporaneità, e nelle cui scelte tutti si possono rivedere e ritrovare.
I testi firmati da Pisano sono complessi e necessariamente analizzabili su diversi piani. Una certa maturità drammaturgica emerge ormai da tempo, così come una profonda riflessione sull’uomo, sulla coppia, sulla morte e sulla contemporaneità, temi ricorrenti che si colorano di sfumature e di riflessioni filosofiche. Questo spettacolo ha ricevuto lunghi applausi, lunghi silenzi durante la narrazione, ampie presenze di pubblico. La sfumatura metateatrale accennata, la destrutturazione apparente del testo e l’intensa interpretazione di tutti gli attori, Michele Magni, Roberto Marinelli e Francesca Borriero, hanno convinto il pubblico, caratterizzato da giovani e da meno giovani. In particolare, è necessario soffermarsi sull’attrice Francesca Borriero che ha lasciato il pubblico senza fiato per il suo lungo monologo e per un’interpretazione profondissima, nonostante l’apparente caratterizzazione asettica, atonale, utilizzata da tutti gli attori, i quali, in questo spettacolo, sono realmente inscindibili e necessari gli uni agli altri.

DE/FRAMMENTAZIONE
Dramma Assoluto con Incursioni a Latere di Io Epico, ovvero UNA STORIA DI IMPOSSIBILITÀ
Piccolo Bellini Napoli 12-17 novembre 2024
drammaturgia Fabio Pisano
regia Michele Segreto
con Francesca Borriero, Michele Magni, Roberto Marinelli
assistente alla regia Irene Latronico
costumi Alessandra Faienza
light design Martino Minzoni
produzione servomutoTeatro e Liberaimago
con il sostegno di AMAT – Associazione Marchigiana Attività Teatrali
in collaborazione con RAM – Residenze Artistiche Marchigiane
progetto promosso da MiC e Regione Marche
con il supporto del progetto di residenza artistica Teatro Le Forche – Futuro Prossimo Venturo 2024
con il sostegno di Circuito CLAPS/IntercettAzioni
si ringrazia NEST Napoli Est Teatro